Le competizioni, ma anche le corse non competitive, distolgono dal sentire la natura e l’ambiente che ci circondano. La serie di sguardi al cronometro ne è la dimostrazione più evidente.
D’accordo, c’è differenza tra una partitella di calcio parrocchiale e una qualificazione nazionale.
La maggior parte pensa che le corse tra amici, o altre manifestazioni simili, siano più giustificate e accettabili di altri agonismi dichiarati, o mascherati, striscianti, perché, almeno per una parte di partecipanti, favoriscono il piacere dell’agire insieme. Personalmente è dal tempo dell’adolescenza alpinistica che rifuggo qualunque competizione e in più ritengo che le gare siano dannose all’ambiente, perché la montagna è costretta sullo sfondo.
SellaRonda Ski Marathon
Mi guardo attorno e vedo che tanti vedono la montagna come teatro di ambizione. Una volta gli ambiziosi si ritagliavano uno spazio con la ricerca, l’esplorazione, la conquista personale; oggi, coloro che sono privi di fantasia non trovano più “novità” e quindi non gli rimane che esaurire il loro protagonismo nella competizione.
Tutti siamo o siamo stati un po’ competitivi, ancor più i giovani con qualcosa dentro. Credo però che sia importante non porre mai la montagna sullo sfondo, lasciandola invece al nostro fianco come compagna ideale.
Credo anche che occorra lasciar fare, condannando gli eccessi organizzativi di qualche manifestazione e limitandoci a dare il nostro esempio. Chi sa di essere nel giusto non vuole neppure passare per fanatico.
A vent’anni, nel 1966, scrivevo questa fantasia, senza immaginare quanto dovesse approssimarsi alla realtà:
L’Alpinismo è uno sport?
Qualunque sport, dal calcio alla pallanuoto, dal ciclismo alle bocce, ha le sue regole, istituite perché con esse si è voluto circoscrivere una particolare attività sportiva e distinguerla dalle altre.
Un passaggio del Misurina Ski Raid 2012
Se queste regole non sono rispettate, gli effetti possono essere due: o la prova è nulla oppure rientra in un’altra categoria di sport. Non si può dire ciò dell’alpinismo, che non ha mai avuto regole fisse, ma è bensì in continua evoluzione.
Negli sport invece le regole sono semplici: tempo o stile sono i soli criteri di misura. Chi impiega meno, o chi è più aderente a uno stile ideale e perfetto, vince. Anche in alpinismo esiste lo stile, come pure il tempo. Esiste anche la smania competitiva, contro la montagna e contro gli altri, ma ciò non è sufficiente per affermare che l’alpinismo sia uno sport.
Dimostriamolo, senza fatica, per assurdo.
Il Lunarally di Pontedilegno
Ognuno di noi, per quanto a volte si possa essere digiuni in materia, può confrontare le proprie idee sulla montagna e sull’alpinismo con le situazioni, sia pure un po’ caricate, ma comunque ugualmente assurde, che si verrebbero a creare se l’azione dell’andare in montagna fosse caratterizzata solo dallo stile e dal tempo.
Questi dunque potrebbero giustificare da soli l’esistenza di un ipotetico «sport alpinistico». Fermo restando che lo sport alpinistico equivarrebbe a un qualsiasi altro sport, senza alcun ideale aggiunto, ma nudo nella sua essenza atletica e ben delimitato nelle sue regole codificate, si potrebbero benissimo organizzare le gare a cronometro. Non si avrebbe nessuna difficoltà, né tecnica né umana, specie con l’aiuto di un’organizzazione sapientemente diretta nella classica direzione del ricavo economico.
I concorrenti dovrebbero partire con uguale materiale, presenti i giudici di percorso, di partenza e di arrivo. Potrebbe verificarsi qualche spiacevole caso di squalifica per irregolarità; ci sarebbe anche il tempo massimo, oltre il quale gli atleti sarebbero senz’altro eliminati dalle successive prove.
I giudici provvederebbero ad assegnare i premi ai vincitori, dopo un attento esame dei punti ottenuti e del tempo migliore. Da considerare nella dovuta importanza anche la sicurezza e la prudenza usata dai concorrenti. Alla base della parete ci sarebbero le squadre di soccorso, pronte con le barelle per eventuali infortuni, come pure in vetta; e su tutto il percorso fiorirebbero le installazioni di teleferiche modernissime per il pronto invio del ferito a valle racchiuso in speciali sacchi Gramminger. Ci sarebbero pure, abbarbicate alle cenge, ove possibile, speciali stazioni di ristoro.
Lo sport alpinistico sarebbe ammesso alle Olimpiadi e per i fanatici delle invernali ci sarebbero pure i Giochi alpinistici invernali. L’iniziativa olimpica non mancherebbe di favorire lo sviluppo dello sport alpinistico: la partecipazione infatti sarebbe assai vasta, visto che «alle Olimpiadi non importa vincere; l’importante è partecipare». Va da sé che lo sport alpinistico sarebbe ammesso al CONI e il CNSA (Commissione Nazionale Scuole d’Alpinismo) assorbito.
I tempi sarebbero misurati al centesimo di secondo, i concorrenti dovrebbero partire con il numero sulla schiena e non avrebbero con loro chiodi, essendo già in posto quelli necessari. La partenza e l’arrivo sarebbero misurati da una speciale cellula foto-elettrica, mentre i giornalisti in vetta, protetti da un apposito bivacco-stampa collocato dalla benemerita Fondazione Berti, batterebbero nervosamente i tasti della macchina da scrivere per stendere il pezzo prima dell’ultima corsa della funivia.
Bardonecchia 1985: Jerry Moffat e Wolfgang Güllich
Sulla vetta, o sulle staffe in mezzo alla parete, sarebbero dislocati in gare particolarmente importanti gli operatori televisivi e i radiocronisti. Sui monti circostanti si provvederebbe alla sistemazione (tribuna o gradinata) del pubblico pagante, mentre il servizio d’ordine non permetterebbe lo spettacolo ai portoghesi e la polizia conterrebbe l’eccessivo entusiasmo dei tifosi. Mentre sui piazzali adiacenti ai rifugi, ormai tutti serviti da un’ottima rete stradale, si adopererebbero i posteggiatori abusivi e non; elicotteri speciali sorvolerebbero la zona e le sue adiacenze per avvertire atleti e pubblico di eventuali perturbazioni atmosferiche.
Ai concorrenti sarebbe vietata ogni azione che potesse danneggiare i successivi: proibito schiodare, proibito spaccare gli appigli a martellate, otturare le fessure, bagnare la roccia con liquidi di qualsiasi genere, provocare frane; vietati gli urti, gli ostruzionismi, i catenacci. Prudenza nei sorpassi, anche se permessi sia a sinistra che a destra. Vietato provocare e insultare gli arbitri.
A gara terminata si provvederebbe come di consueto al controllo antidoping. A giudizio della giuria se i tempi registrati possano o meno essere omologati nell’albo d’oro di ogni via.
Le guide a riposo potrebbero così impegnare il loro tempo facendo gli allenatori o massaggiatori, e gli anziani campioni, o gli incorruttibili accademici, coronerebbero la loro brillante carriera da giudici o arbitri.
Nelle gare per solitari sarebbe severamente proibita ogni forma, anche elementare, di autoassicurazione; le atlete non dovrebbero assolutamente indossare, in nessun caso, abiti succinti o comunque offensivi alla morale e alla “tipica” austerità dell’ambiente alpino.
Al di fuori delle competizioni si potrebbe anche assistere al puro esercizio di stile, all’essenziale estetica dell’arrampicata: atleti che amino concepire il passaggio come una serie di movimenti accordati da un fluire logico e leggero degli arti, che trascorrano i loro pomeriggi a salire e risalire su un masso, fare e rifare lo stesso passaggio, fino alla plastica perfezione del movimento, forza e grazia non disgiunti, in sobrio equilibrio.
Alla fine dell’esibizione, ultimo tocco, non mancherebbe il coro frenetico di battimani e strida da parte degli ammiratori.
(1966)
Bardonecchia 1985: Stefan Glowacz e Marco Pedrini