
Il Nuovo Bidecalogo del CAI, approvato a Torino il 26 maggio 2013, dedica il Punto 6 alla politica venatoria. Potete consultare il documento finale e la presentazione del past-president Annibale Salsa, i due documenti sui quali ho lavorato per esprimere un mio parere sul Punto 6.
Riporto integralmente la frase iniziale del Punto 6: “Pur essendo senza dubbio auspicabile che in un prossimo futuro il rapporto dell’uomo con la natura non debba più in nessun caso presupporre forme di violenza gratuita, si constata però che oggi le attività della caccia rappresentano ancora per alcuni un modo per avvicinarsi all’ambiente naturale”.
Credo possano essere in molti a contestarla: sappiamo bene che la caccia esiste, sappiamo bene quanto radicato sia nell’uomo l’istinto di uccidere, quanto questo ci leghi all’ancestralità più profonda… ma non possiamo accettare che le attività venatorie in qualche modo rappresentino “un modo per avvicinarsi all’ambiente naturale“.
Per me equivale a dire che anche lo stupro è un modo per avvicinarsi al rapporto uomo-donna. Che lo stupro ci sia è un dato di fatto, ma che sia anche vagamente accettabile perché tramite suo qualcuno arriva al rapporto uomo-donna, questo è fermamente indifendibile.
Indifendibile, grezzo, violento e barbarico è dunque anche solo accennare a un riconoscimento dell’attività venatoria come “tramite” ai valori dell’ambiente naturale, perché quel tramite a mio parere distrugge e non costruisce, perché la caccia sottrae all’ambiente naturale della fauna da ammirare e studiare.
Detto questo, il Punto 6 prosegue con il giusto invito al rispetto delle leggi, il plauso alla reintroduzione di specie autoctone e al ripopolamento di specie animali fortemente ridotte, la spinta al recupero di forme virtuose di convivenza tra l’uomo e la fauna selvatica. Afferma poi, con forza notevole: “Il CAI ritiene necessarie la redazione della Carta Natura, la revisione della composizione del Comitato Tecnico Faunistico Venatorio, la rimodulazione degli Ambiti Territoriali di Caccia e degli Istituti Venatori Provinciali. Il CAI intende sostenere le imprese agricole che svolgono attività di tutela e incremento della biodiversità, che adottano sistemi di certificazione ambientale, che s’impegnano alla riproduzione di razze animali autoctone. Ritiene inoltre che debbano essere aggiornati i criteri di stima per la valutazione del risarcimento dei danni all’agricoltura prodotti dalla fauna selvatica“.
E di nuovo pare vi sia una contraddizione tra la tutela dell’ambiente montano, la reintroduzione di specie animali autoctone o fortemente ridotte e la “rimodulazione” degli ambiti territoriali di caccia. Poichè non si vorrebbe che il CAI vedesse la caccia come un tramite per avvicinarsi all’ambiente montano, altrettanto fortemente si vorrebbe che l’ambiente montano fosse scevro da ambiti venatori non legati esclusivamente all’attività di gestione faunistica provinciale necessaria.
Alquanto acuto e un po’ preoccupato è il commento di Annibale Salsa: “Qui si apre un dilemma: come conciliare il ritorno dei predatori con il ritorno dell’uomo alle attività agro-pastorali in montagna, anch’esso auspicato? Ho sentito, nelle Alpi Occidentali, molta preoccupazione da parte di giovani allevatori e neo-rurali riguardo alla massiccia presenza del lupo. Più o meno la stessa cosa si riscontra in Trentino per la presenza dell’orso (si veda il caso Daniza e i suoi cuccioli, NdR). Sicuramente occorre distinguere i problemi reali dalle facili strumentalizzazioni politiche. Nuclei familiari giovanili di agricoltori e allevatori stanno credendo nuovamente nella montagna come luogo di vita e di lavoro. Il fenomeno si sta diffondendo, a macchia di leopardo, su gran parte dell’arco alpino e della dorsale appenninica. In alcune zone i numeri sono abbastanza significativi. Da parte di molti nuovi insediati vi è una certa preoccupazione per attacchi alle greggi ad opera dei predatori. Il problema va affrontato scientificamente al riparo da enunciazioni ideologiche. Si ripropone, anche in questi casi, il problema della capacità di carico sul territorio in termini di densità abitativa dei predatori i quali, se mal gestiti, possono mettere in crisi il ritorno alla montagna degli allevatori“.
Ci piacerebbe dare spazio agli studi più approfonditi e che le analisi di inserimento valutassero anche il futuro e fossero in grado di contemperare la coabitazione, così che non si abbiano a ripetere eventi tragici quali l’uccisione di un animale giudicato pericoloso o di un capo di bestiame, perchè entrambi i fatti sono una sconfitta che merita attenzione.