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Alessandro Gogna

Storico dell'alpinismo, consulente ambientale e guida alpina

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Home / Articoli taggati “Bidecalogo”

Tag: Bidecalogo

Pubblicato il 15 Gennaio 201620 Ottobre 2016 di Administrator — Lascia un commento

Nuovo Bidecalogo Punto 20. L’educazione ambientale

Il Nuovo Bidecalogo del CAI, approvato a Torino il 26 maggio 2013, dedica il Punto 20 all’educazione ambientale. Potete consultare il documento finale e la presentazione del past-president Annibale Salsa, i due documenti sui quali ho lavorato per esprimere un mio parere sul Punto 20. Giunti alla fine, anche le Note_di_accompagnamento_al_Nuovo_Bidecalogo, sono da sottoporre all’attenzione.

Punto 20 (L’educazione ambientale)
E’ magistrale la fotografia che il Nuovo Bidecalogo fa della situazione attuale della montagna, della gente che l’abita, del turismo orizzontale e verticale. Ci vedo la mano soprattutto di Annibale Salsa. Così magistrale da indurmi a riprenderla in toto (i neretti sono miei):
“Le montagne e le persone che in esse vivono costituiscono una realtà geografica e sociale marginalizzata e poco conosciuta dalla maggioranza dei cittadini e degli ambienti culturali e politici, essenzialmente legati alle realtà di pianura e costiere. La fine della millenaria colonizzazione alpina e l’esodo generalizzato delle popolazioni negli ultimi cinquant’anni, particolarmente nella cosiddetta media montagna, pongono quesiti di rilevante importanza e richiedono decisioni strategiche a fronte delle quali le conoscenze e la consapevolezza delle dinamiche montane non appaiono oggi adeguate.
La frequentazione della montagna avviene per larga parte in bolle di realtà artificiale quali le stazioni sciistiche, oppure su strutture attrezzate e rese sicure, e anche con modalità di frequentazione veloci e poco legate alla comprensione dell’ambiente e delle sue regole. La conoscenza concreta del territorio sta svanendo nella maggioranza dei cittadini e i viaggiatori sono pochi, a fronte di tantissimi passeggeri.
Le catastrofi naturali avvengono come sono sempre avvenute, ma i cittadini sembrano aver perso i fondamentali della comprensione e del comportamento in situazioni difficili o peggio.
L’immagine della montagna resta sempre attraente, ma la visione del possibile è distorta. La mera ricerca della prestazione sembra essere il tratto dominante con il quale si sviluppano le attività all’aria aperta, non di rado unita alla ricerca ossessiva di situazioni adrenaliniche fini a se stesse e all’insegna del “tutto è dovuto, tutto è facile”.
Un generale disorientamento ed una diffusa crisi esistenziale investono oggi le giovani generazioni, sia cittadine sia montane. È anche evidente un progressivo distacco dalla natura a fronte di una eccessiva tendenza alle esperienze virtuali con la conseguente rincorsa a sensazioni sempre più forti, anche spinta dall’errato convincimento di assenza del limite.
Da queste constatazioni nasce una grande sfida educativa per tutta la società“.

Bidecalogo20-Robson-Helimagic-Powder-skiing-and-heli-skiing-in-Canadian-Rockies

Per ciò che riguarda la posizione del CAI su questo punto l’introduzione è stata ben chiara e possiamo già figurarci cosa verrà ribadito. In particolare, viene detto con precisione che “coloro che si avvicinano alle attività del CAI necessitano di maestri che testimoniano valori e saperi condivisi attraverso le esperienze vissute e le conoscenze maturate; e non certo di facilitatori e di animatori per azioni di breve respiro” e che l’azione propositiva del CAI è un “utile contributo nel rispetto dei principi costituzionali di sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica nonché di tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione (art. 9 della Costituzione della Repubblica Italiana)“.

Anche per ciò che riguarda gli impegni del CAI sul fronte dell’educazione non ho nulla da aggiungere e rimando al documento originale.

Siamo così giunti alla conclusione di questo lungo viaggio critico, ma spero costruttivo, attraverso l’articolato e fondamentale Nuovo Bidecalogo. Venti sono state le tappe per giungere fino a qui, una al mese per venti mesi.

Alla fine dei venti punti e prima delle note, vi sono poche righe di Conclusioni e di Sanzioni.

Viene detto che saranno  la Commissione Centrale Tutela Ambiente Montano e il Comitato Scientifico a valutare “le priorità delle azioni da porre in essere, anche a supporto delle Sezioni, rispetto a eventuali emergenze in presenza di aggressioni al paesaggio alpino e non, in linea con i principi espressi nei diversi documenti elaborati dal Sodalizio e, principalmente, in queste direttive“.

Nel caso si verificassero, in ambito sezionale, casi di non rispetto di queste direttive (e per evitare appunto che alle prediche non facciano seguito i fatti) occorre “che il potere disciplinare sia esercitato a livello sezionale dal Consiglio Direttivo, a livello regionale dal Consiglio Direttivo Regionale, a livello nazionale dal Comitato Direttivo Centrale con le modalità previste dal regolamento disciplinare“.

A mio parere sarebbe stato efficace utilizzare ancora qualche riga per specificare meglio di quali sanzioni stiamo parlando. Faccio un solo esempio: se un presidente di sezione di club alpino italiano si rifiuta di aderire a una manifestazione per una “frequentazione silenziosa della montagna invernale”, dando per scontata la serietà dell’iniziativa, è passibile di sanzione? Se il Nuovo Bidecalogo dice no all’eliski, può un presidente di sezione agire legittimamente in direzione contraria?

 

I commenti al Nuovo Bidecalogo del CAI, punto per punto
Con il Punto 20 qui appena commentato, abbiamo concluso la lunga e paziente disamina dell’intero Nuovo Bidecalogo del CAI.

I precedenti punti sono sviluppati ai seguenti link:

http://www.alessandrogogna.com/2014/06/14/nuovo-bidecalogo-del-cai-punto-0-e-la-liberta/
http://www.alessandrogogna.com/2014/06/28/nuovo-bidecalogo-punto-1-e-le-aree-non-protette/
http://www.alessandrogogna.com/2014/08/15/nuovo-bidecalogo-punto-2-il-bene-ambientale/
http://www.alessandrogogna.com/2014/08/23/nuovo-bidecalogo-punto-3-vie-di-comunicazione-e-trasporti/
http://www.alessandrogogna.com/2014/09/15/nuovo-bidecalogo-punto-4-turismo-in-montagna/
http://www.alessandrogogna.com/2014/10/15/nuovo-bidecalogo-punto-5-sfruttamento-del-territorio/
http://www.alessandrogogna.com/2014/11/15/nuovo-bidecalogo-punto-6-politica-venatoria/
http://www.alessandrogogna.com/2014/12/15/nuovo-bidecalogo-punto-7-le-fonti-di-energia-rinnovabile/
http://www.alessandrogogna.com/2015/01/15/nuovo-bidecalogo-punto-8-le-terre-alte/
http://www.alessandrogogna.com/2015/01/25/nuovo-bidecalogo-punto-9-i-cambiamenti-climatici/
http://www.alessandrogogna.com/2015/03/15/nuovo-bidecalogo-punto-10-politiche-per-la-montagna-e-rapporti-con-altre-istituzioni/
http://www.alessandrogogna.com/2015/04/21/nuovo-bidecalogo-punto-11-rifugi-bivacchi-capanne-e-sedi-sociali/
http://www.alessandrogogna.com/2015/05/15/nuovo-bidecalogo-punto-12-sentieri-sentieri-attrezzati-e-vie-ferrate/
http://www.alessandrogogna.com/2015/06/15/nuovo-bidecalogo-punto-13-alpinismo-e-arrampicata/
http://www.alessandrogogna.com/2015/07/17/nuovo-bidecalogo-punto-14-scialpinismo-ed-escursionismo-invernale/
http://www.alessandrogogna.com/2015/08/15/nuovo-bidecalogo-punto-15-scialpinismo-agonistico-e-altre-attivita-competitive/
http://www.alessandrogogna.com/2015/09/26/nuovo-bidecalogo-punto-16-escursionismo-e-ciclo-escursionismo/
http://www.alessandrogogna.com/2015/10/15/nuovo-bidecalogo-punto-17-speleologia-e-torrentismo/
http://www.alessandrogogna.com/2015/11/16/nuovo-bidecalogo-punto-18-spedizioni-alpinistiche-e-trekking-internazionali/
http://www.alessandrogogna.com/2015/12/15/nuovo-bidecalogo-punto-19-le-manifestazioni/

Categoria: GognaBlog
Tag: Bidecalogo, CAI, educazione ambientale, eliski, sanzioni
Pubblicato il 15 Dicembre 201520 Ottobre 2016 di Administrator — Lascia un commento

Nuovo Bidecalogo Punto 19. Le manifestazioni

Il Nuovo Bidecalogo del CAI, approvato a Torino il 26 maggio 2013, dedica il Punto 19 alle manifestazioni. Potete consultare il documento finale e la presentazione del past-president Annibale Salsa, i due documenti sui quali ho lavorato per esprimere un mio parere sul Punto 19.

Punto 19 (Le Manifestazioni)

Il Bidecalogo fa, nel Punto 19, un’analisi corretta del fenomeno: lo sviluppo di alcune attività sportive in montagna, quali la corsa, la bicicletta, lo scialpinismo, il fondo escursionistico e l’attività con racchette da neve, ha comportato nel tempo l’organizzazione di grandi raduni, a volte giganteschi, così coinvolgenti ed emozionanti da rendere quasi obbligatoria una nuova edizione uno o due anni dopo. Ugualmente si sono moltiplicati eventi e manifestazioni culturali, come concerti, proiezione di film, festival.

Un tempo era diverso: non si andava tanto oltre la gita socale, c’era solamente il Festival di Trento. E, quanto agli eventi serali, l’invito a un alpinista di rilievo a tenere una conferenza nella sede sezionale era probabilmente il massimo che si poteva concepire in tema culturale.

Rally scialpinistico dell’Adamello
Bidecalogo19-RallyAdamello

Senza qui voler paragonare tempi e situazioni così diverse, giustamente il Bidecalogo osserva che queste manifestazioni “richiamano gran numero di partecipanti e spesso richiedono l’utilizzo di mezzi di trasporto a motore (elicotteri, altro), nonché l’installazione di attrezzature di supporto“.

Pur riconoscendo la positività di questi momenti d’incontro (che comunque coinvolgono, a volte in maggioranza, anche non-soci), il CAI denuncia che “in determinate occasioni, il numero dei partecipanti e l’utilizzo di mezzi di trasporto e l’arredo si rivela incompatibile sia con il “carico antropico” sopportabile dalle zone coinvolte, sia con il forte impatto ambientale che tali manifestazioni producono“.

Per alcuni eventi dunque il CAI prevedrà il numero chiuso, la Valutazione di Incidenza Ambientale e in generale la “collaborazione con gli Enti e le Associazioni interessate nella preparazione dei percorsi e tracciati” sia per evitare l’interferenza con le zone di stanziamento e/o di riproduzione della fauna sia per la rimozione, a manifestazione terminata, delle infrastrutture e dei segnali indicatori (nastri, cartelli, ecc.).

A mio parere il Bidecalogo, al di là di quanto giustamente scritto, avrebbe dovuto prendere maggiore distanza da tutti quegli eventi in montagna che ormai sono caratterizzati da una forte attrazione mediatica perché altamente spettacolari, i cui fini perciò sono del tutto divergenti da quello che sono gli obiettivi statutari, conoscenza e protezione dell’ambiente.

Categoria: GognaBlog
Tag: Bidecalogo, manifestazioni, numero chiuso, saggio
Pubblicato il 16 Novembre 201520 Ottobre 2016 di Administrator — Lascia un commento

Nuovo Bidecalogo Punto 18. Spedizioni alpinistiche e trekking internazionali

Il Nuovo Bidecalogo del CAI, approvato a Torino il 26 maggio 2013, dedica il Punto 18 alle spedizioni alpinistiche e trekking internazionali. Potete consultare il documento finale e la presentazione del past-president Annibale Salsa, i due documenti sui quali ho lavorato per esprimere un mio parere sul Punto 18.

Punto 18 (Spedizioni alpinistiche e trekking internazionali)
Dopo aver messo in guardia, doverosamente, sui gravi danni all’ambiente e al sistema socio-economico che le spedizioni alpinistiche e i trekking extraeuropei possono provocare, e dopo aver sottolineato che comunque tali attività sono portatrici di benefici, soprattutto economici, per le popolazioni di quei Paesi, il Bidecalogo sostiene che è doveroso (attraverso le Sezioni e/o i singoli soci) il massimo rispetto per la natura dei luoghi, magari utilizzando, il più possibile, risorse locali, “sia in termini di uomini sia di mezzi, privilegiando, ove possibile, la mobilità lenta con l’ausilio di animali da soma“. Ugualmente è doveroso che “il materiale tecnico usato per lo svolgimento dell’attività debba essere sempre riportato nel luogo di acquisto“.
Nella posizione e nell’impegno, il CAI sostiene che i frequentatori debbano avere piena conoscenza della loro meta, al fine della conservazione dell’ambiente e delle tradizioni locali. Pertanto raccomanda ogni iniziativa valida a questo genere di sensibilizzazione e formazione (sia dei soci che dei non-soci). S’impegna ad evitare il proliferare delle spedizioni commerciali e a tenere una posizione ferma “per il rispetto di tali regole comportamentali nei confronti di soggetti terzi e di altre organizzazioni internazionali“.

Spedizioni commerciali sull’Hillary Step, Everest. Foto: Subin Thakuri
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Tutto qui. Eppure, quando nove anni prima si era fatto promotore, in occasione del cinquantenario della conquista del K2, di un gigantesco trekking al circo Concordia e al campo base del K2, cui aderirono oltre 500 soci divisi in 18 gruppi, il CAI aveva fatto redigere e stampare un opuscolo, il Vademecum Ambientale, un documento elaborato prima della partenza e sottoscritto da operatori e trekker. La società incaricata di bonificare l’intero Baltoro dai rifiuti delle spedizioni e dei trekking, Montana srl, era stata investita anche del compito di sorvegliare il buon andamento dei campi dal punto di vista ambientale e il rispetto da parte di tutti del Vademecum ambientale.

Nell’ambito del grande progetto del CAI, 1954-2004, il CAI dalla conquista alla conoscenza, il Vademecum era pieno di osservazioni e consigli, un vero e proprio protocollo per chi voglia fare una spedizione o un trekking. E se proprio non si voleva fare sforzi, bastava riportare i più stringati concetti alla base del protocollo ambientale della spedizione K2 clean, elaborati da Maurizio Gallo.
Possibile che nulla di quanto concreto fu scritto allora sia riportato nel Punto 18?

E per quanto riguarda le spedizioni commerciali: forse il CAI non può fare di più, visto che tutte le associazioni alpinistiche in passato hanno fatto del loro peggio, assieme agli alpinisti, per ignorare il problema dell’ambiente e del rispetto culturale, in ossequio a quello che era il risultato da conseguire. Perché una spedizione commerciale dovrebbe, per definizione, essere più dannosa di una normale? Chi ha il diritto di giudicare? IL CAI no certamente, ma neppure l’UIAA. Questo è un processo lentissimo che dovrà vedere coinvolte tutte le parti, con forte volontà di collaborazione.

Categoria: GognaBlog
Tag: ambiente naturale, Bidecalogo, codice di comportamento, protocollo ambientale, spedizione extraeuropea, trekking, vademecum ambientale
Pubblicato il 15 Ottobre 201520 Ottobre 2016 di Administrator — Lascia un commento

Nuovo Bidecalogo Punto 17. Speleologia e torrentismo

Il Nuovo Bidecalogo del CAI, approvato a Torino il 26 maggio 2013, dedica il Punto 17 alla speleologia e al torrentismo. Potete consultare il documento finale e la presentazione del past president Annibale Salsa, i due documenti sui quali ho lavorato per esprimere un mio parere sul Punto 17.

Punto 17 (speleologia e torrentismo)
Questa volta il breve enunciato del Punto17 è ineccepibile, almeno per ciò che riguarda le grotte. Giusta la denuncia che “molti ambienti ipogei hanno subito profonde trasformazioni per valorizzazioni di carattere turistico“. Giustissimo ricordare, tra le altre cose, che “L’ambiente ipogeo è strettamente in relazione al ciclo dell’acqua e costituisce spesso da secoli fonte di approvvigionamento idrico per intere comunità“.

Grotta di Nettuno (Capo Caccia), Sardegna
Grotta di Nettuno (Capo Caccia), Sardegna

E andava anche detto che “Purtroppo l’impatto sull’ambiente ipogeo, causato da attività umane, a cominciare dagli speleologi stessi e/o da frequentatori occasionali, nonché da cattive abitudini (utilizzo di forre, doline, cavità, quali discariche di reflui e solidi) è risultato spesso devastante“.

Nella parte propositiva del Punto 17 del Bidecalogo è affermato con sufficiente chiarezza e fermezza che “Il CAI manifesta la propria contrarietà allo sfruttamento turistico delle cavità, con la creazione di itinerari attrezzati per la frequentazione di non speleologi, di zone illuminate artificialmente per favorire la visita, ecc.“.

Ma mentre si ribadisce il costante impegno del CAI per fare in modo che la frequentazione degli speleologi sia il più possibile corretta e il meno possibile impattante, non è con altrettanto vigore che si difende il mondo sotterraneo dalle aggressioni di altro tipo (soprattutto ci vengono in mente quelle dei lavori di cava): aggressioni che non “alterano” bensì distruggono, e aggressioni che in nessun modo tengono conto della rete idrica.

Nulla da eccepire sugli impegni enunciati, specie questo: “sostenere il libero accesso al mondo ipogeo, nel pieno rispetto della legislazione e/o di ordinanze specifiche vigenti“.

Un’importante osservazione: nel titolo si parla di torrentismo. Ma poi, nel testo, non v’è più alcun riferimento a questa attività. Questo spiace perché oggi il torrentismo, o canyoning che dir si voglia, è una parte importante delle attività outdoor: qualche riga occorreva dedicargliela, lo sanno bene quelle guide alpine che vi si sono specializzate e il buon numero di abusivi che nel frattempo sono spuntati dal nulla.

Canyoning, Daxa Bach, Kaisergebirge
Canyoning, Daxa Bach, Kaisergebirge

Categoria: GognaBlog
Tag: Bidecalogo, CAI, canyoning, speleologia, torrentismo
Pubblicato il 2 Ottobre 201520 Ottobre 2016 di Administrator — Lascia un commento

Quanto il CAI è contrario all’eliski?

Quanto il CAI è contrario all’eliski?

Dopo accurata discussione tra alcuni soci del CAI è stata definita un’iniziativa che di certo farà parlare di sé: aiutare il CAI a dimostrare, con i fatti, quanto è contrario all’eliski.

Perno dell’iniziativa sono queste due lettere raccomandate, partite questa mattina verso i loro destinatari:

1) Lettera al Collegio Regionale dei Probiviri del Piemonte – Club Alpino Italiano
Corso Stati Uniti, 21 – 10128 Torino
e p.c.: Egr. Sig. Umberto Martini, Presidente Club Alpino Italiano
Via E. Petrella n. 19 – 20124 Milano
Raccomandata A.R.

Gentili Signori,
faccio parte di un sodalizio, il CAI, che con il Bidecalogo, strumento di indirizzo e autoregolamentazione, al punto 4 si “impegna a contrastare o comunque scoraggiare l’uso di aerei, elicotteri, motoslitte per finalità ludico-sportive”

Più volte nel corso dell’ultimo inverno ho sentito esponenti del CAI prendere posizioni quanto meno ambigue nei confronti dell’eliski.

Le sezioni di Formazza e Macugnaga, nei ruoli dei Presidenti Piero Sormani e Flavio Violatto, si sono rifiutati di votare con tutte le altre sezioni dell’Est Monterosa per l’appoggio alla manifestazione del 29 marzo 2015 contro l’eliski in Val Formazza, violando in questo modo il suddetto Punto 4 del Bidecalogo.

Chiedo quindi che vengano adottati gli opportuni provvedimenti disciplinari nei confronti dei medesimi soggetti.

Distinti saluti

I firmatari: Nicola Pech, Alberto Paleari, Alessandro Gogna, Matteo Guadagnini, Giuseppe Miotti, Carlo Alberto Pinelli, Franco Michieli, Michele Comi, Antonio Farina, Marco Tosi, Giuseppe Cangialosi, Marco Maffeis, Piero Belletti, Luigi Cucut, Elisabetta Galli, Giorgio Mallucci, Luca Francisco

 

2) Lettera a Umberto Martini, Presidente Club Alpino Italiano
Via E. Petrella n. 19 – 20124 Milano
Raccomandata A.R.

Egregio Presidente,
faccio parte di un sodalizio, il CAI, che con il Bidecalogo, strumento di indirizzo e autoregolamentazione, al punto 4 si “impegna a contrastare o comunque scoraggiare l’uso di aerei, elicotteri, motoslitte per finalità ludico-sportive”

Più volte nel corso dell’ultimo inverno ho sentito esponenti del CAI prendere posizioni quanto meno ambigue nei confronti dell’Eliski.

Le sezioni di Formazza e Macugnaga, nei ruoli dei Presidenti Piero Sormani e Flavio Violatto, si sono persino rifiutati di votare con tutte le altre sezioni dell’Est Monterosa per l’appoggio alla manifestazione del 29 marzo contro l’eliski in Val Formazza.

Non avendo mai letto di provvedimenti disciplinari nei confronti di questi soggetti, mi domando se vi sia totale libertà di mandato nell’interpretazione di ruoli di così grande responsabilità civile e ambientale.

In qualità di socio che si ritiene osservante del Nuovo Bidecalogo in tutti i suoi 20 Punti, Le pongo una serie di domande per capire se il mio bisogno di rappresentanza su questo tema, l’eliski, cruciale per “preservare le montagne e difenderne l’ambiente” anche e soprattutto culturalmente, sia soddisfatto dalla Presidenza che Lei rappresenta.

Con preghiera di risposta con cortese sollecitudine, e comunque entro il corrente mese di ottobre approssimandosi la stagione invernale, Le chiedo:
1) Quali iniziative ha assunto e sta assumendo il CAI al fine di ottenere legislazioni di divieto della pratica dell’eliski?

2) Non pensa che il CAI dovrebbe inviare informativa ai propri soci sulle località dove viene praticato l’eliski chiedendo di boicottarle?

3) Quale tipo di richiamo al Bidecalogo può essere indirizzato alle guide alpine SOCIE AGAI, quindi socie anche CAI, per far loro comprendere che sull’eliski il CAI non è disposto a nessun tipo di compromesso?

4) Cosa pensa di fare il CAI nei confronti di quei rifugisti che mettono a disposizione i beni del sodalizio per fare da base all’eliski?

5) Non ritiene che il CAI debba radiare i soci che fanno eliski o che usano l’elicottero per andare all’attacco delle vie alpinistiche?

Cordiali saluti

I firmatari: Nicola Pech, Alberto Paleari, Alessandro Gogna, Matteo Guadagnini, Giuseppe Miotti, Carlo Alberto Pinelli, Franco Michieli, Michele Comi, Antonio Farina, Marco Tosi, Giuseppe Cangialosi, Marco Maffeis, Piero Belletti, Luigi Cucut, Elisabetta Galli, Giorgio Mallucci, Luca Francisco

 

L’iniziativa sarà tanto più incisiva quanto saranno numerosi i commenti dei soci del CAI e dei lettori. Per far arrivare il vostro commento, ogni luogo è buono: su questo blog, su facebook, su twitter, sui giornali cartacei e sui notiziari on line.

29 marzo 2015, val Vannino (Formazza)
QuantoIlCAI-vannino

Discussione precedente alla stesura delle due raccomandate (SOLO PER CHI VUOLE I DETTAGLI)
(Sono state omesse le e-mail che hanno portato alla redazione definitiva delle due lettere, nonché altre con oggetto la diffusione pubblica delle stesse)

Toni Farina, 24 agosto 2015, ore 11.51
L’estate sta finendo (da cittadino posso dire per fortuna) e siccome il tempo vola in men che non si dica tornerà la neve e con la neve gli elicotteri.
Qualche giorno fa al rifugio Myriam (grazie a Cecilia e Lorenzo per la bella atmosfera) si parlava di organizzare nel 2016 un “Tracce silenziose” in val Formazza. Una cosa non “contro” ma “per”, sul genere di quella organizzata due anni fa in val di Susa. Pensiamoci.

Nicola Pech, 8 settembre 2015, ore 12.35
Torno sulla proposta di Toni perché qualche giorno fa ho letto un’intervista ad Alessandro Gogna pubblicata sul suo Blog http://www.banff.it/la-pervicace-ricerca-del-destino-parte-1/
Riporto di seguito un estratto, il tema è l’eliski:
“E’ una domanda retorica, ma te la faccio lo stesso: perché proprio la lotta contro l’eliski? Credo tu abbia detto in passato: “Anche fosse l’ultima delle battaglie, la dobbiamo fare!”. Perché?
Perché ci si “incista” su determinati punti simbolici, sapendo perfettamente che ci sono molti altre questioni rilevanti, il famoso “benaltrismo” non è che c’è a caso… è chiaro che ci sono altri punti, magari più importanti} anche stando solo in montagna. Se poi andiamo in pianura, nelle città, abbiamo dei problemi giganteschi, planetari!!
Però noi siamo qua a difendere una parte di questo mondo, che è la montagna, il mondo alpino, il mondo della quota, e qui capita di incistarsi su un punto preciso, come nelle guerre: in una guerra il fronte può essere di 700 km, ma poi la battaglia viene fatta in un punto preciso, magari quella di Waterloo; l’eliski è Waterloo! Ed occorre vincerla questa battaglia, non si può perderla!
E’ una roba che non può succedere domani o dopodomani, però è un punto nevralgico sul quale bisogna insistere, insistere e insistere… pur sapendo perfettamente che ci sono altri punti e ce ne sono tanti: le ferrate, le funivie, gli impianti sciistici, il tanto odiato traffico dei SUV (ma non sono solo i SUV che inquinano), ecc. Chi più ne ha più ne metta… questo lo sappiamo, ma ci sono punti simbolici in cui si sta combattendo la guerra! Quale può essere la via di uscita? La via è quella dei francesi: vietare tutto [http://www.banff.it/le-ragioni-del-no-eliski-non-sono-quelle-della-sicurezza/]: anzi, l’eliski deve essere una attività “non contemplata”, per cui chi la fa è fuori legge. Punto.Non è soltanto una questione di ambiente, lo sappiamo e lo abbiamo detto ampiamente! E’ una questione di formazione e di cultura!“.

L’intervista e in particolare queste poche righe che ho riportato, mi hanno fatto riflettere sulla vostra proposta, sulle “tracce silenziose”.
Ecco, io non ci credo alle “tracce silenziose”, mi sa un po’ di Anni Azzurri (la famosa residenza per anziani a Milano), mi sa un po’ di opposizione responsabile. Non vuole dire nulla, è insapore, non va al cuore delle persone e tanto meno va al cuore del problema. Il problema è l’eliski non le tracce silenziose e l’anno scorso in val Formazza e in val Malenco abbiamo alzato un bel polverone. Ne hanno parlato La Stampa, Il Corriere della Sera, La Repubblica. Basta digitare “no eliski” su Google per rendersene conto. Io non annacquerei così il problema, non sprecherei quello che abbiamo fatto. Ma, una volta che la Regione Piemonte legifererà, tornerei a bomba sull’eliski, senza se e senza ma. Dovrebbero essere MW e il CAI a farsene carico, ad assumersi la responsabilità mobilitandosi fin da subito. Dicendo NO a qualsiasi legge o proposta di legge che non vieti tout court l’uso dell’elicottero per andare a sciare. Toni Farina mi ha raccontato che in Francia andavano ad occupare fisicamente le piazzole  per impedire l’atterraggio degli elicotteri. Io per questo ci sono, per le tracce silenziose, gli anni azzurri e l’opposizione responsabile, no grazie.
Questo inverno il tema sarà ancora più caldo, in Lombardia hanno quasi totalmente deregolamentato la pratica e in Piemonte ho paura che possiamo solo aspettarci una legge che peggiorerà le cose. Battiamo il ferro fin che è caldo.

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Lorenzo Scandroglio, 8 settembre 2015, ore 14.33
Le “tracce silenziose” proposte da Toni Farina (dopo una chiacchierata in rifugio) non sono un “problema” (come lo definisci tu) ma vorrebbero essere una festa dell’andare in montagna in un modo diverso a cui, tutt’al più, bisognerebbe dare maggiore sprint nel nome. Inoltre le “tracce silenziose” non si propongono, appunto, di far rumore (tanto meno mediatico), perché questa iniziativa non è un’alternativa a quelle di contestazione dell’eliski. Si possono benissimo portare avanti entrambi i fronti, quello propositivo e quello oppositivo. E su quest’ultimo punto, tu che sei stato in prima fila quest’inverno in Formazza, sai bene quanti toni morbidi, quante contraddizioni, quanti compromessi hai dovuto accettare mandando giù i presidenti delle sezioni CAI che difendono l’eliski raccontando la balla dell’economia montana (contravvenendo allo statuto dell’associazione che presiedono senza né dimettersi, per iscriversi ad associazioni coerenti col loro pensiero, né essere espulsi), mandando giù le bugie dei rifugisti che da una parte organizzano l’ospitalità in quota dell’eliski e dall’altra appartengono all’associazione che (a chiacchiere) lo contesta.
Insomma, se si vuole fare i Savonarola duri e puri, bisogna farlo fino in fondo: perché la posizione più nobile (eticamente) è la più difficile da portare avanti e da mandare in porto. Che, senza azioni risolute e coerenti, si trasforma nella più ignobile perché illude ma delude. Specie quando c’è di mezzo un sodalizio democristiano, conservatore e ipocrita. Te lo dice un gestore di rifugio che, suo malgrado, sa di non avere le spalle abbastanza grandi (il coraggio?) per fare il Savonarola ma che, a voce bassa, segue un percorso coerente nei fatti e negli anni; pur non prevedendo lo statuto dell’associazione proprietaria della sua struttura (il mio è un rifugio ACLI) il rifiuto dell’uso a fini ludici di mezzi motorizzati nelle terre alte…
Detto questo, ti ringrazio per aver inoltrato questa condivisibile riflessione sull’importanza simbolica e strategica di certi punti nell’ambito di una guerra per il progresso civile.

Toni Farina, 8 settembre 2015, ore 16.15
Dividersi, dividersi, dividersi… ah quante volte ho già visto e vissuto questa storia, e quante volte mi toccherà vederla ancora…
Comunque io e, credo, MW aderiremo sia a tutte le tracce non motorizzate, siano esse silenziose o rumorosamente “NO ELISKI”.

Alberto Paleari, 8 settembre 2015, ore 17.09
Se potessi aderirei a tutto, proteste silenziose e rumorose, però il tempo è limitato e anche l’attenzione della gente, per cui credo si debba capire che cosa funzioni meglio. Per me il problema è sempre il CAI, l’assenza del CAI, anche nella lista di quelli a cui questa corrispondenza viene mandata per conoscenza. E’ inammissibile, dice Lorenzo Scandroglio, che un presidente di una sezione del CAI favorevole all’eliski resti presidente di quella sezione, va bene, ma perché non chiediamo, noi che siamo anche soci del CAI, che venga espulso?  Si fa una bella lettera con nome e cognome del presidente in questione e la si manda al  presidente generale chiedendone l’espulsione perché contravviene al bidecalogo. In Italia non è reato essere favorevoli né essere contrari all’eliski, ma lo statuto del CAI è contrario, quindi…

Toni Farina, 8 settembre 2015, ore 19.20
Ho un po’ l’impressione che questi nuovi strumenti di comunicazione (over-comunicazione): mail, blog, facebook, ecc.. alla fine creino più confusione che chiarezza. Ma sicuramente il mio è solo un pre-concetto…
In ogni caso, per personale bisogno di chiarezza… vedo di fare un po’ di chiarezza:
– in ogni contesa occorre capire bene chi è l’avversario;
– in questa contesa (eliski) l’avversario non è il CAI;
– il CAI purtroppo non è un alleato, l’ho verificato più volte (tutte le cose dette sul CAI le condivido);
– il CAI non è ANCORA un alleato, probabilmente mai lo sarà come vorremmo (CAF e DAV sono un’altra cosa);
– ma forse, forse e ancora forse, qualcosa sta cambiando, aria nuova mi pare giunga dalla Granda, terra di scialpinisti e ora anche di eli-skiatori;
– per cui: smettiamola di farci la paranoia CAI e pensiamo a CHEFFARE nel 2016.
Una manifestazione silenziosa-rumorosissima in Formazza (o anche altrove, ma punterei su una). Da farsi però nel periodo di elicotterismo. E anche una festa, più avanti, quando gli elicotteri saranno a riposo.

QuantoIlCAI-eliski

 

Alessandro Gogna, 8 settembre 2015, ore 20.15
Scusa Toni, non ho assolutamente intenzione di “spingere” sull’idea di Paleari sui presidenti CAI, anche se mi sembra ottima. Hai perfettamente ragione a dire che il CAI non è certamente alleato e che il problema è l’eliski, non il CAI. E sono d’accordo nello sperare che un giorno possa essere più alleato.
Però ciò non toglie che, a mio avviso, sono due cose che possono andare avanti di pari passo. Non c’è rischio di confonderle. Nello stesso tempo far emergere le contraddizioni è sempre salutare.

Alberto Paleari, 8 settembre 2015, ore 20.35
Il CAI non è l’avversario ma è l’associazione più importante di alpinisti italiani, ha 300.000 soci, tra i quali ci sono anch’io (l’AGAI, associazione guide alpine italiane, è una sezione del CAI) ha legami con il potere e la politica che nessuna delle associazioni partecipanti coi loro rappresentanti a questa discussione nemmeno si sogna, penso sia importante cercare di coinvolgerlo, sostenere la sua ala ecologista e combatterne l’ala ruffianesco-intrallazzatrice. Mi ricordo che nel 1968 e negli anni seguenti, quando  ero nel consiglio direttivo di una piccola sezione del CAI,  ero un contestatore acerrimo di tutta la tradizione, dei padri fondatori borghesi  e della frase di Guido Rey scritta allora sulle tessere: “Io credetti e credo  la lotta con l’Alpe utile come un lavoro, nobile come un’arte, bella come una fede”. Poveri noi, di fronte alla posizione ambigua del CAI (ricordo al consiglio regionale piemontese di qualche anno fa il discorso penoso dell’allora presidente delle sezioni piemontesi del CAI, non ricordo il nome, in occasione della proposta di legge della lega nord per una “regolamentazione” dell’eliski)  di fronte dunque a quella posizione (la facciamo in elicottero la lotta con l’Alpe?) mi sembrano migliori e più nobili i padri fondatori e Guido Rey.

Francesco Pastorelli (direttore CIPRA Italia), 9 settembre 2015, ore 9.02
Penso che dovremmo tenere su due livelli diversi quelli che sono gli aspetti legislativi (arrivare finalmente ad una normativa che vieti il sorvolo a bassa quota in zone d montagna, e non solo l’eliski) e quanto possiamo fare noi come associazioni, operatori e frequentatori della montagna (anche se le due cose sono ovviamente collegate).
Da quello che si sta vedendo al momento, pensare che le regioni che non hanno ancora legiferato in materia (tutte tranne Trento, Bolzano e VdA che però lo permette in molti siti) possano arrivare a stabilire un divieto generalizzato, mi spiace dirlo, ma è pura utopia. L’attuale giunta regionale piemontese sembra intenzionata a porre qualche limite, ma non nel senso de divieto generalizzato, al massimo nell’individuazione di alcune zone dove si può praticare (speriamo poche) e con qualche prescrizione (speriamo rigide). La giunta che c’era prima stava facendo il peggio del peggio (e con questo non voglio giustificare la giunta attuale).  Per quale motivo la giunta piemontese non chiuderà mai definitivamente all’eliski? Forse perché di ambiente non gliene importa un granché, ma probabilmente anche per evitare di andarsi a scontrare con qualche politico locale, anche se della fazione opposta (penso all’alta valle Susa, ma anche alla Valsesia) sempre nel nome di “non si si può impedire lo sviluppo locale”).  A mio avviso però se fosse lo Stato ad intervenire con una legge nazionale di certo i politici piemontesi -ma anche quelli di altre regioni- non si strapperebbero le vesti in quanto scaricherebbero le colpe sul governo centrale brutto e cattivo. Una legge nazionale risolverebbe il problema in maniera definitiva. Una legge nazionale sulla falsariga di quella francese, ovviamente. Ma questo è solo il mio punto di vista. Il problema è che non credo ci sia oggi un solo parlamentare che abbia voglia di impegnarsi per un tema come questo.  Detto questo sarei lieto di poter sostenere qualunque iniziativa di legge nazionale, come abbiamo fatto in passato. Invece, se va bene, ci toccherà tapparci il naso ed accontentarci di una leggina regionale -per il Piemonte- che circoscriva l’eliski a qualche località.
A livello di iniziative tutto può essere utile, per carità. Basta non farsi illusioni. Sensibilizzare l’opinione pubblica, denunciare abusi (per esempio chi fa voli su SIC e ZPS dove è perlomeno necessaria la valutazione d’incidenza, ridicolizzare, anche con ironia, chi promuove e chi non fa niente per impedire questa pratica. Ma soprattutto bisognerebbe fare delle forme di class action nei confronti di quelle località che promuovono eliski. In passato funzionò la sorta di boicottaggio nei confronti di alcuni esercenti della val Maira che si erano fati venire la brillante idea di portare in valle le motoslitte. Ad esempio, se il comune di Argentera continua con il suo progetto di espansione delle piste ed eliski bisognerebbe che tutti i frequentatori della valle (tra scialpinisti e camminatori siamo tantissimi) non lasciassero più un solo centesimo agli esercizi commerciali di Argentera. Vediamo come reagisce il sindaco se i commercianti iniziano a lamentarsi.
Comunque qualunque tipo di iniziativa si decida di intraprendere avrà il mio sostegno (e spero di riuscire a coinvolgere più associazioni possibile).
Sul CAI: capisco la delusione di Alberto Paleari. Sono anch’io deluso dall’atteggiamento di una parte del sodalizio. Attenzione però a non fare di tutta l’erba un fascio. Ci sono anche persone all’interno del CAI, a diversi livelli, dalla base a presidenti di sezione ad alcuni presidenti regionali, che si battono a favore dell’ambiente e contro l’eliski. Così come ci sono tra i rifugisti e le guide (anche se molti preferiscono non palesarsi, ma capisco anche loro). Lavoriamo con quelli che sono dalla nostra parte e cerchiamo di sostenerli. Senza CAI, così come senza gli altri operatori, la battaglia probabilmente è persa.

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Emilio Delmastro (ProNatura Torino), 9 settembre 2015, ore 9.16
Mi associo alle misurate riflessioni di Francesco Pastorelli.

Michele Comi, 10 settembre 2015, ore 10.58
Che sia provocazione “gentile” o meno l’importate è non lasciare che la pratica eliski diventi “istituzionalizzata” cosa che drammaticamente sta avvenendo in Lombardia (vedi formazione all’uso dell’eliski nei corsi di specializzazione freeride dei maestri di sci tenuti in passato dalle guide, patrocini e astuti accordi per normalizzare la pratica, ratificati con delibere comunali pro eliski tra enti, guide, tour operators, ecc…).
La posizione bicefala del CAI è imbarazzante, come ad esempio avviene anche qui nelle Retiche, con la sezione Valtellinese che sostiene la campagna no eliski in Valmalenco e il locale sodalizio che dichiara apertamente il contrario.

Alberto Gianola, 15 settembre, ore 18.39
Premesso che sono per il divieto generalizzato, nell’ottica di analisi del fenomeno, mi sembra che il diffondersi dell’uso ludico di mezzi a motore nell’ambiente alpino (elicottero, fuoristrada, quad, moto, motoslitte) ponga problemi su diversi piani, collegati tra loro:
1) sul piano etico e di scelta politica. L’uso ludico implica sfruttamento e consumo della montagna volto ad avere il massimo dei vantaggi immediati; il divieto di esso implica frequentazione più rispettosa dell’am­bien­te, salvaguardia dello stesso anche a beneficio delle generazioni future.
2) sul piano economico. Oggi la montagna tanto estiva quanto invernale è frequentata da un numero sempre più consistente di escursionisti alla ricerca di luoghi incontaminati. Tale tipologia di frequentatori comporta un notevole e diffuso indotto eco­nomico a livello locale: pernottamenti e pasti nelle strutture ricettive in valle ed in quota, acqui­sti negli esercizi commerciali dei paesi di montagna. Diverso è invece l’apporto economico di chi si muove con un mezzo motorizzato: per via della potenza e del­la velocità di cui si avvale, egli tende a fare meno spese in loco (nel caso dell’eliski limitandosi spesso alla spesa per il trasporto e per l’ac­com­pagnamento), preferendo l’offerta più va­riegata dei luoghi della pianura o addirittura della costa, facilmente e velocemente raggiungibili in qual­siasi momento. Le due tipologie di escursionisti sono incompatibili. Pochi escursionisti motorizzati allontanano i molti fruitori della montagna non motorizzati, fa­cendo venir meno l’apporto economico maggiormente diffuso di questi ultimi;
3) sul piano della sicurezza. La frequentazione motorizzata della montagna aumenta i rischi con conseguenti costi per ridurli od affrontare le conseguenze nel caso di sinistro. Ammettere le moto su un sentiero può comportare per l’ente responsabile di esso obblighi di ripristino, manutenzione e segnalazione onde garantire una circolazione sicura su di esso con costi che possono essere non indifferenti. Autorizzare l’atterraggio dell’elicottero per la discesa fuoripista implica una complessa va­lu­ta­zio­ne tecnica spe­cia­li­sti­ca delle condizioni ambientali (neve, meteo, tipo di pendii) affinché gli sciatori possano scendere in si­cu­rez­za, posto che da un lato chi usa l’elicottero non ha saggiato la ne­ve salendo; ed inoltre lo spostamento d’aria da esso creato, specie atterrando e decollando può alterare lo stato del manto nevoso, determinando spo­stamenti della neve, creando accumuli, pos­sibili cause di ulteriori effetti ne­ga­ti­vi. In generale gli enti che autorizzano una certa attività devono fare in modo che lo svolgimento dell’attività autorizzata av­venga in condizioni di sicurezza. Ottem­pe­ra­re a tale obbligo può comportare l’im­pe­gno di risorse finanziarie di non poco conto. An­che lad­do­ve l’ente riceva un vantaggio economico diretto o indiretto dalla frui­zio­ne motorizzata della mon­tagna, è possibile che le risorse così ottenute deb­ba­no poi essere impegnate per gli interventi di messa in si­curezza.
4) sul piano giuridico, poiché tali attività non sempre sono compiutamente regolate. Per i mezzi terrestri vige il divieto posto dalla legislazione regionale. Mancano regole specifiche per l’eliski. Occorre però tenere presente che esistono delle regole generali il cui contenuto finisce per porre delle limitazioni. Intanto trovano ap­plicazione le norme di tutela ambientale che possono comportare il divieto di atterraggio in certe zone.
Mi pare poi che l’attività di volo dell’elicottero in montagna sia soggetta al DECRETO 8 agosto 2003 del MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in G.U. N. 297 del 23-12-2003, rubricato Norme di attuazione della legge 2 aprile 1968, n. 518, concernente la liberalizzazione dell’uso delle aree di atterraggio, il cui art. 7 prevede che l’elicottero possa occasionalmente atterrare su qualunque area di dimensioni idonee a permettere, a giudizio del pilota, operazioni occasionali di decollo e atterraggio ma:
a) la dimensione minima dell’area di approdo e decollo deve essere almeno una volta e mezzo la distanza compresa fra i punti estremi dell’elicottero con i rotori in moto;
b) l’andamento plano-altimetrico e la resistenza del fondo devono essere idonei alla effettuazione del­le operazioni di approdo, di decollo e delle manovre in superficie;
e) l’area deve essere sgombra da persone, animali o oggetti che possano ostacolare le operazioni;
f) le fasi di decollo e di atterraggio non devono comportare il sorvolo di centri abitati, di agglo­me­ra­ti di case e assembramenti di persone.
Occasionale significa non più di 100 movimenti l’anno.
In altre parole se vi sono sci-alpinisti o ciaspolatori, l’elicottero non può atterrare. Inoltre la neve farinosa può incidere sulla resistenza del fondo e nascondere asperità del terreno. I luoghi di decollo ed atterraggio sono poi individuati dalle amministrazioni locali.
5) sul piano associativo CAI. Qui il problema è ancora una volta l’assenza di chiare regole vincolanti. Il CAI, per statuto ente avente per scopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente di quelle italiane, e la difesa del loro ambiente na­turale (art. 1), non può che essere per la massima limitazione dell’utilizzo dei mezzi a motore in mon­tagna: prin­ci­pal­mente per soccorso, lavori, approvvigionamento rifugi, scopi scientifici. Statuto e coe­ren­za impongono di non fare ciò che si chiede di non fare agli altri. A tal fine su mia iniziativa le Assemblee LPV del 2011 ad Acqui Terme, del 2013 a Biella del 2014 nuovamente ad Acqui Terme hanno approvato la proposta al Comitato centrale di fare le seguenti modifiche:
a) aggiungere all’art. I.I.1 del regolamento generale un comma 2 siffatto:
2. Nello svolgimento delle sue attività il Club Alpino Italiano opera sempre secondo modalità eco­so­ste­nibili e limitando al massimo l’impatto ambientale, evitando di organizzare e/o realizzare, di­ret­ta­mente o indirettamente, autonomamente o in collaborazione o compartecipazione con altri sog­get­ti pubblici o privati, iniziative che implichino o promuovano l’uso di veicoli motorizzati (auto, mo­to­cicli, quad, motoslitte) fuoristrada, su sentieri, mulattiere o tratturi e di velivoli a motore (elicotteri ed ae­roplani) per finalità diverse da quelle di soccorso e protezione civile, approv­vi­gio­na­men­to e ma­nu­tenzione dei rifugi, ricerca scientifica.
b) apportare una parallela modifica nel modello di statuto sezionale e negli statuti sezionali, prevedendo l’inserimento di un comma 3 dell’art. 1 o di un art. 3 siffatto:
Nello svolgimento delle sue attività l’Associazione opera sempre secondo modalità ecosostenibili e li­mitando al massimo l’impatto ambientale, evitando di organizzare e/o realizzare, direttamente o in­direttamente, autonomamente o in collaborazione o compartecipazione con altri soggetti pubblici o privati, iniziative che implichino l’uso di veicoli motorizzati (auto, motocicli, quad, motoslitte) fuo­ri­stra­da, su sentieri, mulattiere, tratturi o di velivoli a motore (elicotteri ed aeroplani) per finalità di­ver­se da quelle di soccorso e protezione civile, approvvigionamento e manutenzione dei rifugi, ricerca scientifica.

Proposte ancora in attesa di riscontro.
In un quadro siffatto che fare?
Io proporrei, oltre alle iniziative di sensibilizzazione per tutti e nelle scuole, alle manifestazioni, alla petizione per una legge regionale volta a vietare il più possibile, di studiare e divulgare la disciplina esistente (in particolare nelle iniziative CAI), rilevare (fotografare e ri­pren­de­re) e segnalare alle autorità eventuali violazioni, chiedere formalmente (mediante richiesta di ac­ces­so agli atti) alle amministrazioni locali che autorizzano l’eliski i provvedimenti che in­di­vi­dua­no i luoghi di decollo ed atterraggio, informando poi di essi tutti i potenziali interessati.

Matteo Guadagnini, 21 settembre 2015, ore 12.12
Cerco di dare un apporto dopo aver letto Bidecalogo del CAI e Regolamento disciplinare.

a) Bidecalogo
Al punto 3 – Impegno – mi pare sia ben chiaro che il CAI debba sostenere la proposizione di legge statale prevedente il divieto assoluto dell’esercizio del turismo motorizzato fuori da tracciati autorizzati. L’impegno è di tale ampiezza che sembra applicabile alla MTB.

Al punto 4 – Impegno – mi pare invece un po’ più sfumato, ma comunque chiaro, l’impegno a “contrastare o comunque scoraggiare l’uso di aerei, elicotteri, motoslitte (vedi Nota 1) per finalità ludico-sportive”.

Ciò stante mi paiono coerenti con quegli impegni, ed un eventuale scopo di suscitare le reazioni del Presidente per i rischi disciplinari, le seguenti domande al Presidente medesimo (seguo le proposte del 9 settembre di Nicola Pech):

– quali iniziative il CAI ha adottato e sta adottando per rispettare gli impegni assunti con il Bidecalogo (Punti 3 e 4) a proposito della normativa di proibizione delle attività motoristiche in montagna ed a proposito del contrasto e della dissuasione dell’attività ludico-sportiva di aerei, elicotteri e motoslitte?

– quali iniziative disciplinari il CAI ha adottato e sta adottando nei confronti dei Presidenti di Sezione, quali i Presidenti delle Sezioni Macugnaga e Formazza, che si sono rifiutati di aderire ad azioni di contrasto della pratica dell’eliski?.

I quesiti successivi al terzo sono relativi agli indirizzi; avrebbero dunque una finalità diversa rispetto a quella di suscitare procedimenti disciplinari. Meglio un atteggiamento duro (il primo) ovvero l’apertura di una discussione (cui conduce il secondo atteggiamento)? Io sono per il primo; alla comune intenzione la decisione definitiva.

Nota 1. Questo impegno appare non perfettamente in sintonia con quello del Punto 3 dove si vuole appoggiare l’approvazione di una legge che, tra gli altri, vieti anche l’uso delle motoslitte fuori dai tracciati autorizzati.

b) Regolamento disciplinare
Alle “Definizioni” si individua il contenuto dell’”Esposto” come atto con il quale “un socio porta a conoscenza di organo che egli ritiene titolare di potere disciplinare atti o comportamenti che ritiene abbiano rilevanza disciplinare”.

Il “Potere disciplinare” consiste della “potestà di perseguire e sanzionare soci o organi responsabili di violazioni a norme scritte o ai principi ispiratori del sodalizio”.

Il “Ricorso” consisterebbe nella richiesta di un socio al Collegio dei Probiviri di annullamento o di riforma di un atto o provvedimento che ritenga illegittimo o pregiudizievole.

Il Regolamento si applica (art. 2) alle impugnazioni di atti e provvedimenti (lett. b), alle procedure di composizione delle controversie tra soci e organi di qualsiasi livello e tra organi (lett. a), nei procedimenti disciplinari verso soci e organi o strutture (lett. d).

Non è applicabile agli atti del Comitato Direttivo Centrale (diversi dai provvedimenti disciplinari – comma 2°).

Le procedure previste sono esaminate e decise dai Collegi regionali e interregionali dei Probiviri in primo grado e dal Collegio nazionale dei Probiviri in secondo grado.

Per le impugnazioni di atti o provvedimenti relativi a strutture centrali operative è competente il Collegio regionale dei Probiviri della Lombardia (art. 4, 3°).

Le comunicazioni vanno fatte a mezzo raccomandata AR (art. 8, 7°). Le udienze dei Collegi non sono pubbliche (art. 8, 9°).

Al punto 12 viene sancito l’obbligo dei soci (sia quali singoli, che quali componenti di organi collegiali) di rispettare i principi di cui all’art. II, 4 dello Statuto (vedi Nota 2) e viene stabilito che il socio deve tenere comportamenti conformi ai principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sociale. La violazione di questi principi legittima l’apertura di un procedimento disciplinare.

Nota 2. Io ho reperito, all’art. 9, 1° c, tra gli altri e per quanto ci interessa, il dovere tra gli altri di tenere comportamenti conformi ai principi informatori del CAI. Non ho trovato un articolo II,4.

I provvedimenti disciplinari devono essere proporzionati alla gravità dei fatti contestati, alla effettiva responsabilità dell’autore ed alle conseguenze dannose derivate o che avrebbero potuto derivare al sodalizio o sue strutture (punto 13).

Le sanzioni consistono nell’ammonizione (biasimo con diffida a non reiterare il comportamento), nella sospensione dei diritti del socio sino ad un anno, nella radiazione.

Titolari del potere disciplinare sono i Consigli direttivi sezionali, i Consigli direttivi regionali ovvero il CDC (Comitato direttivo centrale) a seconda dell’ambito territoriale di diffusione degli effetti della violazione (art. 21).

L’ impianto sembra far escludere che un procedimento disciplinare possa aprirsi se non in seguito all’invio da parte di un socio di un esposto, a mezzo di lettera raccomandata, al Collegio dei Probiviri; mentre, pur essendo previsto il procedimento disciplinare nei confronti di organi, non è chiaro come esso possa attivarsi (sempre su segnalazione di un socio? Per iniziativa di altro organo magari sovraordinato?).

In conclusione credo che: se si intende provocare una mancata risposta del Presidente per aprire la strada ad un esposto nei suoi confronti e per provocare una sua iniziativa nei confronti di Presidenti ‘recalcitranti’, le prime due domande possano essergli poste. In assenza di risposte o di risposte non soddisfacenti un socio o un organo di una sezione si attiva per proporre un esposto nei confronti del soggetto.

Se invece si intende aprire un dibattito sui temi per condurre il CAI ad assumere una posizione ufficiale sui medesimi ed a muoversi nei confronti di terzi che non si sono allineati, possono essere poste le altre domande. Secondo me la prima ipotesi (mi ripeto) pare più ‘stimolante’ per il soggetto che riceve domanda (e eventualmente esposto).

In ogni caso vorrei indicazioni da tutti per poter far deliberare dalla mia Sezione UGET un qualche documento.

Del tipo:
La Sezione ______ del CAI,
– stanti le precise indicazioni fornite dal Bidecalogo dell’associazione, in particolare ai suoi articoli 3 e 4, ed ai conseguenti impegni solenni ivi assunti;
– stanti le Conclusioni del medesimo Bidecalogo che indicano la necessità dell’adozione di azioni a protezione del paesaggio alpino e le Sanzioni ancora in esso espresse costituenti dettami di autodisciplina dei soci;

delibera in assemblea di procedere con tutte le iniziative necessarie ed opportune per:

  • far adottare legge statale che ponga divieto assoluto all’esercizio di turismo motorizzato (4×4, quad, enduro, ecc, motoslitte in inverno) su mulattiere, sentieri, strade di montagna e comunque fuori da tracciati appositamente autorizzati;
  • far adottare legge statale ovvero regionale al fine di contrastare l’uso di aerei, elicotteri, motoslitte per attività ludico-sportive.

Delibera altresì che venga divulgata la presente delibera tra i soci, richiamando i medesimi al rispetto dei comportamenti dettati dal CAI con l’adozione del Bidecalogo, che verrà inoltrato ai medesimi soci per loro informazione ulteriore.

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Toni Farina, 22 settembre 2015, ore 12.40
… Il CAI non è neppure un alleato e la non partecipazione alle iniziative, spesso il boicottaggio, lo dimostra. Temo solo che alla fine si raggiunga un risultato opposto.

Alberto Paleari, 22 settembre 2015, ore 13.50
Il CAI non è un avversario, ci sono moltissimi soci che la pensano come noi, credo siano la maggioranza. Con la nostra iniziativa dovremmo riuscire almeno ad aprire un dibattito interno sull’argomento: se nello statuto del CAI è per lo meno stigmatizzato l’uso ludico dei mezzi a motore è compatibile essere soci del CAI, o peggio dirigenti, e praticare, o appoggiare pubblicamente, o difendere, la pratica dell’eliski?

Matteo Guadagnini, 22 settembre 2015, ore 15.54
Le considerazioni di Toni Farina sono corrette. Io credo che attaccare un singolo non significhi ancora affermare un principio o supportarlo.
Però credo anche che sta mania di non affermare i principi e non di confrontarsi anche duramente con chi ha principi diversi sia una cattiva cosa.

Occorrerà pure che si arrivi a un confronto. Se poi il CAI deciderà che il bidecalogo è una stupidaggine, che i soci che appoggiano i motori in montagna (a terra o in volo) fanno bene a farlo, vorrà semplicemente dire che siamo del tutto (scusate) fottuti, perché avremo perso la guerra con noi stessi.

Piuttosto mi chiedo in che modo dare massima evidenza e cassa di risonanza sui media, quando le domande verranno poste.

Ancora un aspetto: sfrutterei motori ed eliski quale argomento unico e identico, anche se unico  ed identico (vedi il bidecalogo) non è: vi è molta più gente, estate e inverno, che non tollera i motori in montagna di quanta odia l’eliski.

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Tag: Bidecalogo, CAI, denuncia, eliski, sanzioni disciplinari
Pubblicato il 26 Settembre 201520 Ottobre 2016 di Administrator — Lascia un commento

Nuovo Bidecalogo Punto 16. Escursionismo e ciclo-escursionismo

Il Nuovo Bidecalogo del CAI, approvato a Torino il 26 maggio 2013, dedica il Punto 16 all’escursionismo e al ciclo-escursionismo. Potete consultare il documento finale e la presentazione del past-president Annibale Salsa, i due documenti sui quali ho lavorato per esprimere un mio parere sul Punto 16.

Punto 16 (escursionismo e ciclo-escursionismo)
Nelle considerazioni generali il Punto 16 correttamente constata il grande incremento numerico degli escursionisti in montagna rispetto a decadi fa. Ciò significa in qualche caso l’iperfrequentazione di un rifugio ma anche la trasformazione continua dei sentieri a causa della creazione selvaggia di scorciatoie. La responsabilità non è ovviamente generale bensì solo di coloro che non comprendono la delicatezza dell’ambiente in cui si trovano. Come se non bastasse si sta diffondendo sempre più l’uso della bicicletta da montagna per percorrere sentieri una volta dedicati ai soli montanari ed escursionisti. D’altra parte occorre riconoscere al mezzo bicicletta la valenza di strumento ecologico di spostamento. Il Bidecalogo pertanto distingue giustamente le attività ciclo-turistiche da quelle del cosiddetto downhill, cioè la discesa spericolata e adrenalinica di ripidi pendii montani con finalità prettamente sportive che nulla hanno a che vedere con l’esperienza dell’ambiente.
Nell’esporre il proprio impegno, il CAI si appella a quell’auto-disciplina cui già ha fatto riferimento per le attività invernali. In particolare chiedendo attenzione ad un rispettoso silenzio e all’impegno di non percorrenza di scorciatoie su terreno non roccioso. Giustamente richiama all’osservanza del regolamento dei rifugi, all’impegno di non abbandono dei rifiuti, magari alla rimozione dei rifiuti altrui, nel limite del possibile. Conclude con il richiamo all’uso del mezzo pubblico per gli spostamenti.

Bidecalogo16-downhill-6

Un po’ generico è l’accenno con il quale “ai ciclo escursionisti, sia nella pratica individuale sia nelle attività sociali, si chiede il rispetto delle norme e comportamenti inerenti alla tutela dell’ambiente naturale“. Mentre nelle considerazioni generali il downhill viene condannato direi con fermezza, nell’impegno non se ne fa più cenno. Ciò è strano, si sarebbe dovuto ribadire la contrarietà del CAI alle discese per boschi e prati con mezzi decisamente invasivi, vista la rudezza e la velocità con cui queste vengono affrontate.

Annibale Salsa è assai preoccupato per il downhill: “Vedo con grande preoccupazione molte stazioni turistiche di montagna pubblicizzare tali attività per far crescere il loro declinante appeal commerciale. Evitiamo, per favore, di scimmiottare mode che arrivano da Paesi che propongono la montagna alla stregua di una “dysneyland”. Se qualche escursionista o turista viene travolto durante una camminata su sentiero non è la stessa cosa, sul piano etico, di un incidente alpinistico. Sul downhill, pertanto, non vi può essere distrazione, oltre che per ragioni di sicurezza, anche per i danni provocati al terreno dalle piste ad esso dedicate. Poniamo un freno alla cultura dell’eccesso poiché, come diceva già Quintino Sella, abbiamo una responsabilità morale verso i giovani che vanno educati, formati all’etica della rinuncia“.

Salsa ha ragione, anche se il richiamo a Quintino Sella e all’etica della rinuncia suonano un po’ antiquati. Se c’è un individuo al mondo al quale non si può predicare l’etica della rinuncia questo è il giovane! Specie quando questi ha davanti la realtà che ben conosciamo, con l’elenco degli eccessi di cui abbiamo dato prova noi meno giovani.

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Tag: Bidecalogo, CAI, ciclo-turismo, downhill, escursionismo
Pubblicato il 15 Agosto 201520 Ottobre 2016 di Administrator — Lascia un commento

Nuovo Bidecalogo Punto 15. Scialpinismo agonistico e altre attività competitive

Il Nuovo Bidecalogo del CAI, approvato a Torino il 26 maggio 2013, dedica il Punto 15 allo scialpinismo agonistico e alle altre attività competitive. Potete consultare il documento finale e la presentazione del past-president Annibale Salsa, i due documenti sui quali ho lavorato per esprimere un mio parere sul Punto 15.

Punto 15 (scialpinismo e altre attività praticate in forma competitiva)
E’ ben noto come la montagna sia diventata, nel tempo, teatro di moltissime manifestazioni a carattere competitivo. Tanto per fare un piccolo elenco, pensiamo allo sci da discesa, allo sci di fondo, slittino, mountain bike, bouldering, corsa in montagna, rally di scialpinismo. Perfino gare di ciàspole. Un discorso a parte lo merita l’arrampicata sportiva che, inizialmente praticata su falesia, è stata ben presto confinata alle strutture artificiali.

In questo Punto 15 il Nuovo Bidecalogo del CAI affronta questo delicato problema. Qui è il testo integrale.
Bene fa il CAI a prendere le distanze dalle competizioni di qualsiasi genere. Subito dopo ammette che le Sezioni, storicamente, sono ideatrici e responsabili di molte manifestazioni competitive. Il dissidio è blandamente accettato, perciò l’impegno del CAI si limita al controllo che detti eventi rispettino l’ambiente e che sia fatto ogni sforzo perché, alla fine delle manifestazioni, tutto sia ripristinato alle condizioni naturali. Questo dissidio è una costante del Nuovo Bidecalogo, dove in più punti sono riconosciuti differenti idee tra CAI Centrale e le sue Sezioni. Il problema è politicamente di fondo, e anche il Punto 15 ne fa le spese.

Detto questo, ci limitiamo ad osservare che qualche parola in più poteva essere spesa per sostenere l’estraneità del CAI al mondo competitivo. Dire ad esempio perché dovrebbe essere così. Dire che la competizione tende a focalizzare l’attenzione sugli atleti e sulla gara, e ciò genera spontaneamente un minore interesse al partner comprimario, la montagna.

Una gita dello Sci-Cai
Bidecalogo 15-100_6911

Purtroppo questo concetto nel Punto 15 è detto in altro modo, per me inaccettabile. Quando si scrive che “L’impatto sull’ambiente di tali attività praticate in occasione di gare e/o competizioni è spesso devastante, sia per la forte richiesta di infrastrutture sia per il tipo di persone coinvolte (atleti, organizzatori, spettatori), spesso dotati di scarsa sensibilità ai problemi ambientali“, si attribuisce la responsabilità della “devastazione” al “tipo di persone coinvolte”. Nessuno può giudicare quali siano le reali motivazioni di chi va in montagna (in competizione o no), nessuno ha il diritto o il potere di valutare quale sensibilità ai problemi ambientali abbia chi vuole misurarsi con altri su un terreno alpino o chi voglia esserne spettatore. Attribuire un po’ rozzamente questa responsabilità ai singoli non aiuta a considerare ben più correttamente che, se certe cose avvengono, la colpa è soprattutto di chi organizza, di chi costruisce infrastrutture (che spesso poi non sono per nulla temporanee) e di chi usa massicciamente elicotteri e altri mezzi motorizzati al fine di accontentare gli sponsor e la propria brama di visibilità televisiva.

Infine questo poteva essere il luogo adatto per un’auticritica che il CAI si è da sempre ben guardato di fare. Se, come viene affermato, il CAI “di norma indirizza i propri Soci verso la pratica delle diverse attività in forma ricreativa-amatoriale, individuale e/o nelle gite sociali“, allora ci deve spiegare perché esso tolleri, fin dai tempi del fascismo, che le sezioni abbiano al proprio interno i cosiddetti Sci-Cai, entità nate con lo scopo di praticare sci di pista in compagnia, fare garette sociali e avviare bambini e adolescenti alle gare. E’ da quando mi sono iscritto al CAI (1960) che vedo queste deviazioni. Avevo quattordici anni e ricordo che, appena iscritto, feci un giretto per la bellissima sede del CAI Sezione Ligure. In un salone grande e decorato c’era una decina di tavoli con attorno dei giocatori di carte, di età media assai elevata. Chiesi a Maria Antonietta Porfirione, la segretaria di cui immediatamente mi ero invaghito, chi erano quei signori, perché non mi sembravano “alpinisti”: troppi gioielli, troppe cravatte, troppa puzza al naso. La risposta fu: “Quelli? Sono i bridgisti!”. Cioè il CAI aveva aperto le porte a gente del tutto estranea, che la montagna non aveva mai visto neppure con il binocolo, solo per il benefit di avere un discreto aumento di quote sociali.

Un tavolo di bridge
Bidecalogo 15-due-fiori-bridge-salerno

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Tag: Bidecalogo, CAI, competizione, gare
Pubblicato il 15 Giugno 201520 Ottobre 2016 di Administrator — Lascia un commento

Nuovo Bidecalogo Punto 13. Alpinismo e arrampicata

Il Nuovo Bidecalogo del CAI, approvato a Torino il 26 maggio 2013, dedica il Punto 13 all’alpinismo e all’arrampicata. Potete consultare il documento finale e la presentazione del past-president Annibale Salsa, i due documenti sui quali ho lavorato per esprimere un mio parere sul Punto 13.

Punto 13 (Alpinismo e arrampicata)
Questo punto (qui per comodità è il documento) è stato trattato dagli estensori con grande competenza e sufficiente aggiornamento di base nell’evoluzione contemporanea di alpinismo e arrampicata. Il punto di partenza sono stati le Tavole della montagna di Courmayeur (1995) e il Congresso Nazionale CAI di Pesaro (1997).

Diciamo subito che il punto afferma giustamente e con forza che “l’accettazione del rischio è parte integrante dell’alpinismo, che è una attività che presenta rischi, e chi la pratica se ne assume la responsabilità; sono soprattutto le competenze, le capacità e il livello di preparazione fisica e psichica che possiede l’individuo a stabilire il grado di prevenzione del rischio e a imporre le conseguenti azioni. La conoscenza e il rispetto della montagna uniti a un’onesta valutazione delle proprie capacità sono condizioni indispensabili per una pratica in ragionevole sicurezza dell’alpinismo”.

Bidecalogo 13-2013-14

C’è poi un passaggio culturale di non poco conto quando si afferma che “il rischio assunto e condiviso nello spirito di cordata è un momento culturale essenziale nella pratica dell’alpinismo dove il confronto personale dell’individuo con le difficoltà opposte dalla natura ne costituisce il fascino”. Il valore dato allo spirito della cordata pone l’alpinismo a un livello superiore di quello della squadra sportiva.

Il richiamo all’autoregolamentazione deve basarsi sul riconoscimento di due differenti priorità:
– per ciò che riguarda l’arrampicata sportiva, la priorità è la performance tecnico-atletica ottenuta anche grazie alla limitazione del rischio soggettivo;
– per l’alpinismo invece la priorità “è la soluzione di un problema di scalata posto dalla morfologia stessa della montagna valendosi esclusivamente delle opportunità di progressione e di protezione che essa stessa consente”.

Questa distinzione è assai importante per tutta una serie di conseguenze, dalla classificazione di un’impresa fino alle complicanze giuridiche in caso d’incidente.

Bidecalogo13-10002013Infine merita elogio l’affermazione precisa che “l’apertura di nuovi itinerari di scalata dovrà basarsi sulla struttura naturale della montagna e sul rispetto delle vie logiche di salita”. E’ infatti importante che le nuove aperture rispettino la storia e i tracciati esistenti. Non si possono tracciare itinerari sportivi in prossimità di altri itinerari classici perché li snaturerebbero.

Più attenzione critica meritano invece queste affermazioni:
– sugli itinerari alpinistici iperfrequentati è giustificato che si intervenga in modo speciale ai punti di sosta per ragioni di sicurezza. Questo perché “si tratta di itinerari che, almeno temporaneamente, non consentono più una vera esperienza alpinistica“. Qui non siamo assolutamente d’accordo. Si può anche pensare a soste rifinite in modo definitivo, ma non certo per la ragione fornita. Gli itinerari disattrezzati che non siano al top dell’esperienza in realtà consentono vera esperienza alpinistica a cordate di livello inferiore. Non si vede perché l’esperienza alpinistica debba essere limitata ai migliori;
– giusto affermare “durante la ripetizione di itinerari di scalata saranno rispettate e/o ripristinate le protezioni disposte dai primi salitori, o quelle nuove riconosciute accettabili dopo un certo numero di ripetizioni”. Ma poi si conclude con “eventuali ulteriori protezioni, utilizzate durante la salita, dovranno essere rimosse”. E qui non si capisce chi dovrebbe farlo. I più classici “sesti gradi” delle Dolomiti (e non solo) dall’epoca della prima ascensione negli anni Trenta, subirono negli anni Cinquanta e Sessanta una regolare e continua iperchiodatura che poi si arrestò naturalmente. Non si può predicare un qualcosa che poi non verrà mantenuto. Nessuna amministrazione, nessun CAI sceglierà mai davvero la schiodatura di un itinerario. La schiodatura della Maestri al Cerro Torre dovrebbe insegnare che l’integralismo talebano non è necessariamente parte della nostra cultura;
– “l’uso dei mezzi artificiali che comportano la perforazione della roccia dovrà essere evitato o limitato a casi straordinari, simili a quelli in cui essi sono stati tradizionalmente tollerati, ossia ai casi in cui essi consentono il superamento di brevissime interruzioni della linea di salita naturale, e ai casi di emergenza”. Osserviamo che non si può regolamentare così un mondo così complesso. Le Alpi per fortuna non sono un unico Parco Nazionale dove dei legislatori si permettono di dare delle regole. L’uso degli spit limitato con la definizione di “brevissime interruzioni della linea di salita naturale” è ormai insufficiente. Ciò che per Huber o per Manolo è una linea di salita naturale per la maggior parte è un ostacolo insormontabile. Un aggettivo come “naturale” non tiene conto delle capacità, dunque è inutile sprecarlo. Non è alzando questo genere di soglie e di foglie di fico che si salva la naturalezza dell’alpinismo…

Da ultimo osserviamo che non si è fatto alcun cenno all’arrampicata trad, o meglio a quell’arrampicata che più si avvicina al concetto alpinistico. Le falesie oggi presentano migliaia di itinerari attrezzati in modo sportivo, non è stato lasciato spazio (se non su alcuni tracciati storici ed estremamente impegnativi) a percorsi sui quali si possa imparare l’arte di salire con i propri mezzi di assicurazione e in cui ci si debba costruire le proprie soste. Troviamo invece migliaia di catene, dalle quali, se si vuole diventare alpinisti, occorre liberarsi. Da qui l’importanza di riservare uno spazio trad in ogni falesia: e di questo, nel Bidecalogo, non v’è traccia.

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Tag: alpinismo, arrampicata, arrampicata trad, Bidecalogo, chiodatura
Pubblicato il 21 Aprile 201520 Ottobre 2016 di Administrator — Lascia un commento

Nuovo Bidecalogo Punto 11. Rifugi, bivacchi, capanne e sedi sociali

Il Nuovo Bidecalogo del CAI, approvato a Torino il 26 maggio 2013, dedica il Punto 11 ai rifugi, bivacchi, capanne e sedi sociali. Potete consultare il documento finale e la presentazione del past-president Annibale Salsa, i due documenti sui quali ho lavorato per esprimere un mio parere sul Punto 11.

Con il Punto 11 inizia la parte seconda del Nuovo Bidecalogo del CAI (che consta di altri dieci punti), preceduta dalle considerazioni generali relative alla Politica di Autodisciplina del CAI.

Politica di autodisciplina del CAI
Giustamente il CAI si arroga il diritto-dovere di proteggere il patrimonio naturale e culturale costituito dalla montagna. Riconosce che altre “pratiche” più moderne e sportive hanno nella montagna il loro campo d’azione. Individua pertanto la soluzione dei problemi determinati dall’affollamento (non solo in termini quantitativi ma anche in termini di tipologie diverse d’uso del territorio) nell’autodisciplina e nel comportamento responsabile ed ecocompatibile di chi pratica tali attività. Si accenna solamente all’importante concetto che “l‘accettazione del rischio è parte integrante dell’alpinismo e della frequentazione, nelle diverse forme, della montagna”. Pertanto il CAI stigmatizza “alcuni tentativi di vietare, con leggi e/o con ordinanze di vario genere, la pratica delle attività sportive e turistiche in montagna”.

Nuovo bivacco Giusto Gervasutti sotto la parete est delle Grandes Jorasses

Bidecalogo-11-4Così espressi sono i concetti fondamentali che dovrebbero fare da base all’autodisciplina. Dispiace solo, nel testo, lo smagrimento dei contenuti che invece, a giudicare dalla presentazione di Annibale Salsa, devono essere stati di certo assai dibattuti.

Salsa dice: “Se siamo frequentatori abituali dobbiamo collocarci non già dal punto di vista di una mera tutela passiva dell’ambiente, bensì da quello della tutela attiva. Ma la tutela attiva implica l’autodisciplina, ossia l’intelligenza del limite. La montagna è limite per definizione. La coscienza del limite è l’atto morale consapevole che noi dobbiamo assumere in via prioritaria. La montagna sta diventando pericolosa in forza di tutta una serie di variabili, per cui dobbiamo imporci, per primi, dei limiti invalicabili. Eticamente e culturalmente si tratta di una provocazione, soprattutto nella nostra società del “no limite”. Dai mezzi di comunicazione di massa i messaggi che filtrano in maniera ossessiva, gridata o subliminale, vanno nella direzione opposta. Allora, che cosa vogliamo proporre ai giovani: la performance dell’oltre – limite? Il CAI deve contrastare la cultura dominante del “no limits”, con la quale non ha niente da spartire… La montagna è “maestra del limite”, lo diceva già Goethe. I limiti oggettivi devono essere accettati, pur nella loro variabilità soggettiva. Quindi, mettiamoci d’impegno per essere educatori del limite”.

Rifugio Angelino Bozzi al Montozzo, Pontedilegno
Bidecalogo-11-rifugio bozzi_1_2000

Punto 11 (Rifugi, bivacchi, capanne e sedi sociali)
Ho voluto individuare quattro punti, decisamente ben trattati nel testo.

1) La volontà del CAI di non ingrandire ulteriormente il patrimonio di strutture fisse sulle Alpi e sugli Appennini. La densità delle costruzioni è in genere ben sufficiente, solo in alcune zone si potrà discutere eventuali altre realizzazioni. IL CAI si spinge a “prendere posizione nei confronti di una proliferazione indiscriminata di rifugi privati”. L’orientamento del CAI è quindi quello del mantenimento delle strutture esistenti.

2) L’impegno del Sodalizio è pertanto rivolto ai lavori di messa a norma ecologica, di miglioramento igienico-sanitario, di smaltimento dei reflui, di ricerca di soluzioni atte a evitare accumuli di rifiuti e di soluzioni non inquinanti per il fabbisogno energetico. IL CAI è per un impatto ambientale e paesaggistico il più contenuto possibile; raccomanda che l’approvvigionamento dei rifugi con elitrasporto sia limitato allo stretto necessario e scoraggia il trasporto aereo di persone in caso di manifestazioni in quota; raccomanda l’installazione di impianti per energia da fonte rinnovabile; raccomanda ancora acquisto e consumo di prodotti locali, nell’ottica del “km 0”.

3) Il CAI denuncia come, nel mondo dei rifugi, si assista a un progressivo snaturamento della funzione: “Altrettanto forte è la convinzione che non siano condivisibili e accettabili i tentativi, che a volte si affacciano, di trasformare i propri rifugi in alberghi di montagna”.

Pertanto il CAI formula il concetto di rifugio come “presidio culturale” e di “pubblica utilità”, quindi intende “promuovere, richiedendo la collaborazione dei gestori e delle associazioni dei gestori, campagne di informazione volte a sensibilizzare la fruizione dei rifugi, non in chiave alberghiera, ma in chiave ecologica e di sobrietà”. In quest’ottica, il CAI si spinge a dire di voler contrastare l’alienazione dei patrimoni (rifugi, capanne, ecc.). Non viene trattato il caso, altrettanto pericoloso, della cessione di gestione, come quello stipulato tra la Sezione di Bolzano del CAI e il Dolomiti Mountain Resort del Passo Sella.

Dolomiti Mountain Resort, Passo Sella
Bidecalogo-11-39729956

 

Salsa dice: “Anche quei rifugi che diventano alberghi superano certi limiti. E’ ben vero che il rifugio, ai nostri giorni, non è più la tappa intermedia del percorso di salita, ma sta diventando la meta. Nulla da eccepire in tal senso, anche per favorire la conoscenza della montagna presso i turisti… Ma che tipo di meta vogliamo indicare? Vi ricordate quando, qualche anno fa, ho lanciato l’idea del rifugio come “presidio culturale”? Se il turista desidera arrivare al rifugio senza proseguire oltre, il rifugio può essere un’occasione piacevole, una vetrina di informazione sulla montagna dove proporre momenti di riflessione, di cultura, di gastronomia legata al territorio, di educazione ambientale. Non c’è da scandalizzarsi se il rifugio diventa una meta. Ci mancherebbe altro, ben vengano i frequentatori attenti. Ma ci si deve attrezzare in tal senso. Se raggiungo un rifugio piemontese e mi propongono il piatto della “bagna cauda” o, in Trentino e Sud Tirolo, lo speck posso meglio immedesimarmi nel contesto culturale di accoglienza”.

4) Il CAI sottolinea l’importanza di una politica tariffaria a favore dei giovani e delle famiglie, quindi vuole “ricercare nuove forme di accoglienza e permanenza, non esclusa una diversa politica tariffaria per famiglie con giovani”.

In conclusione, un buon Punto 11. E’ da rimarcare però l’assenza di interesse, da parte del CAI, a sostenere il gestore nei rapporti con la pubblica amministrazione, nel sistema creditizio e nella comunità locale, soprattutto nei casi in cui, così facendo, si favorisca l’occupazione giovanile, indipendentemente se i giovani gestori siano del posto o provenienti da altre località.

Vedi Nuovo Bidecalogo del CAI Punto 10 (precedente)

vedi Nuovo Bidecalogo del CAI Punto 12 (successivo)

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Tag: autodisciplina, Bidecalogo, bivacchi, rifugi, saggio
Pubblicato il 15 Marzo 201520 Ottobre 2016 di Administrator — Lascia un commento

Nuovo Bidecalogo Punto 10. Politiche per la montagna e rapporti con altre istituzioni

Il Nuovo Bidecalogo del CAI, approvato a Torino il 26 maggio 2013, dedica il Punto 10 alle politiche per la montagna, alle convenzioni e ai rapporti con altri club e altre istituzioni. Potete consultare il documento finale e la presentazione del past-president Annibale Salsa, i due documenti sui quali ho lavorato per esprimere un mio parere sul Punto 10.

Sul Punto 10, che qui potete leggere isolato, vi è poco da eccepire. I concetti elencati sono ampiamente scontati e condivisibili. Il problema è che, nell’insieme, il Punto 10 non affronta realmente il tema. Il tema è “Le politiche per la montagna” e nello svolgimento non ci si può limitare ai concetti generali e all’impegno di collaborazione con le altre istituzioni.

Quanto detto in premessa al Bidecalogo, vale a dire riguardo al diritto che ha la popolazione a essere cittadina della montagna, non trova applicazione in questo punto, sua sede naturale. Se non vogliamo una montagna spopolata occorre prendere precise posizioni nei casi pratici, dobbiamo fare nostra la causa dei cittadini della montagna.

Bidecalogo10-POCUTF8_9772153871_Original_Daccord

Nella sua illuminata introduzione Annibale Salsa accenna per esempio agli attacchi politici ai piccoli Comuni di montagna. Per certi legislatori questi andrebbero soppressi, ma nell’esprimere questa valutazione dimenticano sempre di pensare in termini qualitativi, limitandosi a ragioni quantitative, miseramente amministrative.Infatti, la cultura egemone non è orientata verso le pratiche virtuose, tranne ben rare eccezioni.

Per Salsa, il CAI dovrebbe essere portatore di contro-cultura, opporsi alle facili misure per risparmiare, con una visione più lungimirante dei territori che fanno parte di questi comuni. Che sono a volte estesissimi, e dove di certo la grande superficie sembra contrastare con la mancanza di abitanti. Dice Salsa: “Non è il numero degli abitanti che determina l’importanza e la sopravvivenza di un Comune, ma la sua estensione territoriale“.

Perché il Bidecalogo non recepisce questo “assioma”? Perché non lo espone a chiare lettere, per sensibilizzare il mondo politico e l’opinione pubblica?

Salsa continua: “Il Club Alpino, fin dalla sua origine, ha svolto un ruolo di “stakeholder”, cioè di portatore di interessi legati alla montagna, a fianco delle popolazioni locali e di altri soggetti del territorio. Allora bisogna lavorare in questa direzione affinché l’opinione pubblica nazionale non ci percepisca o ci rappresenti, secondo taluni schemi mentali diffusi nell’immaginario popolare, come una compagnia di scanzonati gitanti della domenica… Tante volte mi son sentito dire “Il CAI, spesso, non ci è vicino”.”.

Altro punto essenziale è la relativizzazione dei problemi ecologici in rapporto ai momenti storici. Oggi non occorre più, come aiutavano a fare le sezioni del CAI a fine Ottocento, rimboschire: al contrario, occorre preservare prati e spazi aperti. Dunque, cerchiamo di capire il tipo di trasformazioni che avvengono nel territorio, nell’ambiente e nel paesaggio e di governarle con scienza e coscienza, senza la scorciatoia. Dice sempre Salsa: “Occorre prendere le distanze dalle semplici enunciazioni astratte. Ritengo che, nel momento di attuazione-applicazione delle normative, vada sempre tenuta presente la consapevolezza critica, antidoto al dogmatismo ideologico“.

In tutto il Bidecalogo, e tanto meno qui al Punto 10, è mai nominato il concetto di green economy. Se non si vogliono parole inglesi, parliamo allora di “economia ambientale”. Questa è citata solo al Punto 2, più che altro per introdurre il concetto di “capitale naturale”, cioè quella ricchezza che va ormai considerata in qualunque valutazione assieme al “capitale fisso” e al “lavoro”.

Se ne doveva parlare anche al Punto 10, che ha bisogno di vivere, non di essere lettera morta. Per questo, oltre a enunciare buoni propositi spesso divorati dalla burocrazia, bisognava dire non solo in che direzione il CAI vuole andare, ma anche con quali precise tattiche.

Contadino in Alto Adige. Foto: Ella Studio
Bidecalogo10-Associazione_Turistica_Valli_di_Tures_e_Aurina_-_Contadino

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Tag: Annibale Salsa, Bidecalogo, cultura di montagna, green economy, politiche

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