
L’urlo della tormenta
Attorno allo Zürichsee qualcosa ci ricorda che presto delicati colori avranno la meglio sull’inverno. È nell’aria. Ma noi puntiamo, dopo Glarus e Linthal, a una fine del mondo chiusa e coperta di neve. L’accogliente albergo di Tierfehd e la gentilezza della padrona non cancellano la prima impressione di essere giunti al fondo di un sacco, senza spazio, tempo e riferimenti fisici, così da sentire altrove la civilissima Svizzera dei telefoni e dell’elisoccorso. Siamo in un ombelico sprofondato nel ventre di un colosso. Dopo cena ripassiamo la lezione sulla cartina: metri di dislivello, pendii esposti alle valanghe, orari di partenza, carichi sulle spalle, per rassicurarci che sia come le altre volte. Qui, nel cuore delle Alpi di Glarona, i valori delle precipitazioni sono tra i più alti dell’intera Svizzera, fino a 3000 mm annui. Questo gruppo di grandi montagne si erge selvaggio a nord della valle del Reno Anteriore (quindi dei Grigioni) e a sud del Klöntalsee e del Walensee (quindi delle Prealpi Svizzere). Solo un valico stradale, il Klausenpass, collega la Linthal ad Altdorf: la regione è un massiccio intransitabile, difeso da ghiacciai e da bastionate enormi. Tremila metri dividono in altezza la vetta del Tödi dall’abitato di Linthal, e il peso di questa non comune imponenza supera muri e finestre, entra nelle stanze, imprime una curva ai tavoli e intacca le nostre pretese certezze.
Gruppo del Tödi, Svizzera. In salita verso il bianco Geissbuetzistock. Dietro è la mole scura del Tödi, sovrastata dal suo ghiacciaio pensile; a sin, il Bifertenstock. Foto: Marco Milani
Fuori, una notte immota a sprazzi di luna avvolge il mondo incantato di una realtà separata e sospesa. All’alba, il senso d’immobilità gigantesca s’addensa e si raccoglie nei punti nevralgici del nostro casuale guardarci intorno. Nebbie pesanti, nuvole grevi, ci negano ogni parziale sollievo; lo stillicidio dell’acqua da una roccia scura, il rombo improvviso di una scarica di neve marcia che spazza un vicino canalone, il Limmerensee, sinistro lago artificiale che c’è ma non si vede: sono impulsi per registrare un dramma naturale in cui ogni apparente immobilità si azzera, nel perpetuo movimento delle cose che si attuano al di là della nostra partecipazione: vediamo solo dei grumi che si trasformano e ci sfugge il senso generale, attori disponibili ad imparare la parte proprio sul palcoscenico.
Gruppo del Tödi, Svizzera. Dalla vetta del Geissbuetzistock, verso il Chli Toedi, Piz Casarauls, Clariden, Bocktschingel, Tuefelsjoch, Tuefelstock, Speichstock, Gemsfairenstock. Foto: Marco Milani
Soltanto alle baite di Altstafel il sole riesce a penetrare la cortina di nubi. I fondali sono montagne bianchissime e ripide, i pendii a meridione del Rotstock sono solcati da resti di valanga e ne promettono ancora. Non siamo neppure a metà del percorso per la Claridenhütte e siamo già stanchi. È strano sentirsi dei manichini con una volontà propria e del resto “Non è di tutti convivere con tali meraviglie e passeggiare da mattina a sera nello smarrimento e nello stupore” (Victor Hugo). Alla fine del vallone, ben al di fuori del suo caldo stagnante e dei suoi pericoli, incontriamo due che scendono. Mi chiedono delle condizioni della neve, io li avverto che giù la temperatura è alta, qualcosa potrebbe scaricare. Mi ringraziano e partono come frecce: Martin e Marco mi raggiungono appena in tempo per scorgere una mostruosa colata di neve pesante che scivola lenta in direzione dei due puntini. Il primo è fuori, ma il secondo ce la farà? È difficile sciare veloci sui resti di slavine precedenti e così da lontano non son chiare le proporzioni. Un attimo dopo il passaggio del secondo, la scia è sepolta: nessun suono, solo vedere e sentire grande freddo dentro in assenza di emozioni. Nel pomeriggio arriviamo al rifugio, in posizione finalmente aperta: l’anziana custode si è tolta gli sci un attimo prima di noi. Da dove viene ora, da quanti giorni è qui? Avrà fatto una passeggiata da sola? Scambiamo qualche faticosa parola in tedesco e tanti sorrisi. Con curiosità accettiamo questi piccoli misteri. Le dimensioni reali del luogo si rivelano la mattina dopo, fredda e luminosa. Un immenso ghiacciaio pensile si appoggia sulla larga vetta del Tödi, il confine tra roccia e ghiaccio è un seracco verticale di un centinaio di metri che corre a sciarpa su tutta la scura muraglia del monte, a suggello di grandiosità.
Gruppo del Tödi, Svizzera. La Planurahuette e l’Heimstock dominano la grande distesa bianca dell’Huefifirn. Sullo sfondo, lo Schaerhorn, il valico del Chammliluecke, Chammliberg, Chammlijoch e Clariden.
Saliamo il Clariden e il tempo si guasta. Poco prima della Planurahütte, una stupenda e colossale onda di neve creata dal vento si frange sulle rocce dell’Hintere Spitzalpelistock: è un solco a mezzaluna profondo decine di metri. Il vento diventa rabbia quando siamo al riparo. Planura… Jean-Jacques Rousseau scriveva “Un paese di pianura, per quanto sia bello, non lo fu mai ai miei occhi. Ho bisogno di torrenti, di rocce, di pini selvatici, di boschi neri, di montagne, di cammini dirupati ardui da salire e da discendere, di precipizi ai miei fianchi che mi spaventino!“.
Nei pressi della Planura Huette, Clariden Pass, Clariden Alpen, Svizzera. Foto: Marco Milani
Il giorno dopo ci barrichiamo. La tormenta è tale che è un’impresa raggiungere la toilette. Il custode ci assicura che lì è normale: a me sembra più dirompente che in Himalaya. Ma forse sto invecchiando e facendo più grosse le cose, un po’ come cacciatori e alpinisti. Tra quattro pareti e sotto un tetto non è paura, è ammirazione per una natura che esplode: l’apparente immobilità era un lento preparativo a questo normale sconvolgimento. L’urlo della tormenta fa tremare i doppi vetri, s’insinua nelle fessure, entra nella mente e se ne impadronisce: giochiamo a carte, ma la tormenta qui dentro vince non solo perché ci tiene prigionieri. La mattina dopo rocce e neve sono rivestite di cristallo. Il profilo del Gross Windgällen è scolpito ai margini, il vento è forte ma in diminuzione, la visibilità arriva lontano. Ci dirigiamo allo Chammlijoch, poi giù per la Iswandli, con neve perfetta, fino al Klausenpass e a Urner Boden.
Martin Trout e Marco Milani salgono dalla Planura Huette al Channlijoch, Clariden Alpen, Svizzera (9 aprile 1995)