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La parete

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Zanichelli, 1982
254 pagine, formato 14,5×21

Esaurito
E’ l’autobiografia di uno dei più riflessivi alpinisti della nostra epoca. Attraverso le belle e le brutte avventure della nostra vita in montagna ci siamo impegnati a scalare la parete che tutti abbiamo dentro. E’ uno di quei risultati per il quale si combatte fino all’ultimo…

Recensione di Marco Bellini, da Intra i sass
Avere presente “Un alpinismo di ricerca” come modello di esplorazione di se stessi può essere fuorviante nell’approccio a questo libro, sicuramente. Alessandro Gogna ha smesso i panni dell’alpinista di punta, ha chiuso gli anni giovanili delle imprese estreme vissute come protagonista. Questo libro è profondo, più profondo di ogni riflessione che può nascere mentre si è in parete; tutto nasce dalle snervanti attese in tenda al campo base, dai lunghi periodi di vita spesi a casa, sui sentieri e per le strade. Se prima Gogna risolveva i problemi e le crisi gettandosi in imprese grandiose ed estenuanti, adesso si ferma e si chiude su se stesso, cercandosi dentro un motivo, una ragione. Da sempre dare anima e corpo all’alpinismo, concedendogli ogni secondo del nostro tempo, non aiuta la riflessione in profondità. Gogna lo ha capito, e tra una scalata in Yosemite e una in Scozia, tra l’Annapurna e il K2 si è spesso fermato a riflettere, elaborando un senso per le angosce e i dubbi che sempre, da che mondo è mondo, rincorrono una persona sensibile anche su per le montagne.

 «Nel mio libro precedente Un alpinismo di ricerca concludevo le mie teorie con le due fatidiche parole a stampatello: rivoluzione totale. […] In seguito non potei più evitare di pormi lo domanda: quale rivoluzione totale? L’idealismo mi spingeva a credere che dopo la rivoluzione toccasse a noi ricostruire […]. L’Annapurna e i suoi seracchi m’insegnarono che non toccava a me ricostruire un bel niente. Ciò sarebbe stato solo un atto di orgoglio. L’unico atto che mi si richiedeva era il continuare l’esplorazione di me stesso senza pretesa di successo».
Lo stile, rispetto a prima, è il medesimo; l’onestà cristallina della penna è però eccezionale. Gogna vive un momento di profonda revisione e cambiamento; smette la montagna come un abito usato che non dà più le stesse soddisfazioni e richiede troppe attenzioni per restare stirato a puntino e alla moda. Mollare l’alpinismo di punta gli costa alcuni amici, che con lui erano legati solo dalla corda, obbliga a rileggere le relazioni personali. Viene da chiedersi perché andare in montagna con tutta quella frenesia. S’allunga l’ombra di essere considerato ormai “accademico” e “vecchio”, laddove pochi anni prima ci si sentiva il grande alpinista che saliva la Walker in solitaria. Gli amici non capiscono perché mollare, quando le cose girano e la roccia è in attesa. Non capiscono e spesso se ne vanno, scuotendo la testa stupefatti o irritati. La questione è proseguire la propria vita senza restare schiavi di un passato che, effettivamente, ha il suo peso.
La spedizione al K2 è raccontata da un uomo che si sente sempre un secondo di cordata, abbattuto, abbruttito dalla fatica, dall’incertezza e dai problemi intestinali. Gogna non giocò realmente quel ruolo, arrivò anche da solo ad una quota molto alta per piazzare il campo, ricevendo gli elogi dei membri della spedizione. Lui però si vide così: stanco, dubbioso. Tutti gli altri alpinisti sembravano più forti e resistenti di lui, con più volontà, maggiormente preparati e motivati. E Gogna descrive lucidamente come fece, giorno dopo giorno, a trovare la forza di restare al campo o di salire, di bere anche solo un po’ di the.
Forse si tratta di un libro che non entusiasmerà chi si gode la montagna come momento di realizzazione di se stesso, di autoesaltazione anche inconsapevole. Avere la sensazione di essere alpinisti, e quindi meglio dei semplici gitanti, è già di per sé negativo e il libro lo sottolinea impietosamente. Gogna segue la linea tracciata da Motti e da I falliti, cercando di affrancarsi dalla montagna ad ogni costo e ritrovare con essa un rapporto più pulito. È il manifesto per comprendere Gogna come si presenta oggi, quando propone di raggiungere il Monte Rosa partendo a piedi dal Canavese. In questa traccia si colloca anche l’onestà schietta con cui si disegna sulla pagina bianca; non ci viene nascosto nulla, ogni meschinità viene esposta all’analisi impietosa. Superare, cambiare, migliorare; lo scopo dello scalare la parete è farsi migliori, prendere dal mondo solo ciò che si è coscientemente ripulito e accettato, rifiutando senza superbia il resto.
Impietosa la breve storia della morte di Guido Machetto, narrata su un palcoscenico di burattini, critica e corrosiva. Il giudizio è inappellabile: Machetto è morto preso nel turbine dell’alpinismo di punta, senza saperne sfuggire.
«L’ombra è ormai accanto all’operaio, lo colpisce leggermente alla nuca e ne estrae qualcosa di impalpabile. La voce spiega che è stata tolta l’essenza vitale, il ‘prana’ che non deve morire. L’ombra getta nel vuoto quell’essenza vitale. L’operaio rimasto solo corpo si accosta al balcone e si lascia cadere nel vuoto inerte, sfracellandosi a terra. Questo doveva succedere ed è successo.
Uno spettatore urla: ‘Così è morto Guido Machetto!’».
Questa vena critica percorre tutto il libro, lo rilega col filo della coerenza, ma non è mai una critica volgare di chi invece sente di aver trovato, al di fuori, la strada giusta. Gogna è su un’altra pista, ma il dubbio su dove porti e se sia buona, se sia una via con un cuore lo perseguita, lo sospinge, lo avvolge. Non c’è presunzione e neppure un’esagerata autocommiserazione: c’è lucidità e analisi di sé senza falso amor proprio.
Chi vi si accosta per cercare le grandi eroiche imprese, troverà principalmente passeggiate sui sentieri, case in Val d’Ayas, immagini oniriche e descrizioni trasognate di fantasie un po’ cervellotiche. L’unica cosa cui posso associarlo, con una relazione gettata dall’istinto, è Una frontiera da immaginare di Andrea Gobetti, anche se vien meno lo spirito goliardico e le sbronze che in questo sono onnipresenti. Ma quella narrata qui è un’epoca successiva della vita di una persona.
La parete non aggiunge nulla di più di quel che già era noto alla cronologia dei fatti, ma se la storia dell’alpinismo è – almeno per alcuni – storia di persone e dei loro vissuti anche quotidiani, questo libro batte allora una strada raramente percorsa. Non ci sono imprese alpinistiche che ispirano l’emulazione. Forse però qualcuno sentirà il bisogno represso di essere un po’ più onesto con se stesso, forse qualcuno si metterà in marcia per rivedere il sentiero della propria vita, tentando di liberarsi di tutto ciò che fino ad oggi aveva tollerato perché incapace di gettarlo fuori. E per un libro di alpinismo non è risultato da poco.